“Il nostro futuro sarà multietnico. Questa serata dovrebbe essere d’esempio per tutti coloro che fanno proclami cavalcando le paure, seminando odio e divisioni. Non c’è nulla di cui vergognarsi a temere qualcosa che non si conosce, ma il dovere di chi ci governa e di chi esercita un ruolo all’interno della comunità, è quello di predisporre gli animi all’accoglienza”, sono queste le parole di Fiorella Mannoia, la madrina di Ottobre Africano, alla festa di chiusura della 12ma edizione del festival il 1 novembre. La cantautrice ha emozionato con le sue dichiarazioni il pubblico numeroso del centro culturale Elsa Morante, improvvisando insieme al musicista Gabin Dabiré una versione acustica di Se solo mi guardassi – il brano che ha dato il nome alle due giornate conclusive dell’evento.
“Non è possibile che ancora oggi si parli dello straniero come dell’altro, perché i migranti condividono la vita quotidiana degli italiani, il lavoro, la politica”, a parlare è Cléophas Adrien Dioma, il direttore artistico di Ottobre africano, e invita a seguire lo spirito della canzone Se solo mi guardassi e a capire meglio gli stranieri e la loro storia, incluse le esigenze per una buona integrazione, “invece dei pregiudizi dovremmo costruire un cammino insieme”. Si dichiara soddisfatto di come si è svolto il festival, nel mese di ottobre, in tante città della penisola e spera che diventi un appuntamento fisso della cultura africana: “Non si parla solo d’Africa, affrontiamo anche tematiche conflittuali del paese”. Dispiaciuto, invece, per più di cento persone rimaste fuori all’evento finale per mancanza di posti nella sala affollatissima.
Il concerto dell’ultima serata è stato multietnico: oltre Fiorella Mannoia e Gabin Dabiré, sul palco si sono esibiti Canto d’inizio con la pizzica, Africa Djembee con le percussioni, l’ensemble Artaras condotto da Lidia Bolfosu con i canti e balli folkloristici moldavi, Rodica Chircu, una voce inconfondibile della musica popolare rumena e tanti altri artisti che hanno condiviso suoni, ritmi e colori delle varie culture del mondo.
Durante la rassegna Se solo mi guardassi, gli ospiti hanno potuto ammirare e acquistare vestiti e oggetti del continente nero, assistere a vari workshop, come quello della chef Elsa Javier che ha svelato le influenze nella cucina peruviana delle tradizioni degli schiavi africani, assaggiare i cibi del Mali, il cous cous con lo spezzettino di vitello e il succo di zenzero preparati dallo chef Mamadou Nioiaye, e non poteva mancare lo yogurt solidale Barikamà, autoprodotto da ragazzi africani salvati dallo sfruttamento nelle campagne.
Del tragico racconto delle donne nigeriane costrette alla prostituzione in Italia si è parlato alla presentazione del libro di Elena Perlino Pipeline – Trafficking in Italy, mentre il comico Salvatore Marino ha aperto la conferenza L’essere meticcio e genitore di figli meticci. Molto apprezzata dal pubblico è stata la mostra Lo sguardo perturbante del fotoreporter mozambicano Ricardo Rangel.
„Le prime vittime degli attacchi terroristici nel mondo siamo noi, gli stranieri d’Italia. I giornali collegano i crimini alla religione, non direttamente alla persona che l’ha commesso. Io da musulmana vi dico: questo non è l’Islam”, così commenta la giovane fumettista di origini tunisine, Takoua Ben Mohamed, il documentario My name is Takoua realizzato dai giornalisti Antonella Andriuolo e Lorenzo Cinque. Anche Takoua, come tanti ragazzi di origine straniera si sente di appartenere a due culture e nello stesso tempo a nessuna delle due. Nei suoi fumetti sui temi dell’integrazione racconta storie vere, quelle delle seconde generazioni, del significato del velo e di come superare i pregiudizi. L’Ottobre africano è riuscito a promuovere e unire non solo i paesi africani ma tutte le altre culture che condividono la filosofia della canzone Se solo mi guardassi.
Raisa Ambros
(05 novembre 2014)
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