Tam Tam Morola: la musica che ti porta in Africa

Venerdì 4 aprile al Felt Music Club musica dall'Africa per l'indipendenza del Senegal. Foto: Moustapha Mbengue e Tam Tam Morola
Venerdì 4 aprile al Felt Music Club musica dall’Africa per l’indipendenza del Senegal. Appuntamento in via degli Ausoni 84, Roma. Foto: Moustapha Mbengue e Tam Tam Morola

Per andare in Africa non bisogna per forza prendere un aereo. Basta un incontro fortunato, come quello con Moustapha Mbengue, fondatore del gruppo Tam Tam Morola che venerdì 4 aprile si esibirà in concerto al Felt Music Club per l’anniversario dell’indipendenza del Senegal, alternandosi sul palco con i gruppi di Mame Diara e Abou Khadre. La loro è una musica che viene da luoghi lontani e da un tempo ancora più lontano. Che molti senegalesi non possono ricordare, perché gli è stato strappato.

Moustapha è un sérèr, etnia mistica che ha origini nell’Egitto di Ramses. La storia del Senegal la conosce perché gliel’ha trasmessa il nonno: “Se n’è andato l’anno scorso, aveva più di cent’anni, e mi ha insegnato canzoni che neanche mio padre conosce”. Gli ha spiegato il nonno cos’è il colonialismo: “Le etnie corrotte dai francesi vendevano persone di altre etnie, si diventava schiavi in cambio di uno specchio o un fucile”.

Oggi i rapporti tra i gruppi sociali sono cambiati, ci si sposa tra wolof e sérèr e si scherza sul passato: “Basta che una persona ti riveli il cognome per capire a quale etnia appartiene e scatta la battuta ‘tu sei il mio schiavo’”. Certe ferite però restano e alcune non guariranno mai: “Noi siamo persi, non siamo africani o francesi, ci hanno strappato le nostre radici. Nelle scuole non si insegna la cultura del Senegal ma quella della Francia. Io vengo da un villaggio, cosa c’entra con me la tour Eiffel?”. Il Senegal ha ottenuto l’indipendenza il 4 aprile 1960, ma paga ancora il prezzo di tre secoli di dominazione coloniale: “Tuttora manca la democrazia e c’è troppa corruzione”.

I primi spettacoli li faceva nella foresta, aspettando che tornasse l’acqua per continuare a innaffiare i campi – Foto: Nene Photograpy, guarda il portfolio completo: https://www.flickr.com/photos/54927948@N08/sets/
I primi spettacoli li faceva nella foresta, aspettando che tornasse l’acqua per continuare a innaffiare i campi – Foto: Nene Photograpy, guarda il portfolio completo

“Il baye fall ci ha salvati” afferma Moustapha raccontando la storia del movimento nato da Ibra Fall, allievo di Cheikh Ahmadou Bamba, colui che fondò la confraternita muridiyya e praticò un islam pacifico e contrario alla jihad. “Baye fall è umiltà e solidarietà. Non vogliamo conti in banca, perché la vera ricchezza nasce dall’aiutare gli altri. La missione di ogni africano dovrebbe essere quella di sostenere il proprio popolo”.

Nel villaggio di Morola, dove è nato, la cultura autentica del Senegal è sopravvissuta al colonialismo: “Quando arriva la stagione delle piogge smettiamo di suonare perché un’antica leggenda dice che è di cattivo augurio. Tagliamo i tamburi, li cospargiamo di olio di palme e li mettiamo sui tetti delle case. Al momento del raccolto si ricostruiscono i tamburi e si lavora tutti insieme nei campi accompagnati da percussioni e canti. E arriva la festa del bilim: uomini e donne vestiti con gli abiti tradizionali si dispongono in 2 file e ballano fino al mattino”. “Nei miei primi ricordi ho già in mano un tamburo” sorride parlando di Bamboy, il musicista più bravo, che gli aveva regalato un tamburo giocattolo e permetteva a lui, bimbo di tre anni, di sedergli accanto a suonare durante le feste: “La musica è come un serpente che ti morde, quando entra hai finito”.

È partito la prima volta all’età di 14 anni per frequentare la scuola coranica: “Mi mantenevo cantando, sai da noi le case sono aperte perché il nostro simbolo è l’ospitalità. Andavo a cantare nelle famiglie e loro mi aiutavano”. All’età di 20 anni ha fondato i Tam Tam Morola e iniziato a girare tutta l’Africa per studiare i ritmi dei diversi paesi. Da lì la tournèe a Parigi, l’Europa e, nel 1998, l’Italia: “Con i miei allievi di percussioni è nato il gruppo I Tamburi di Gorée ed è iniziato uno scambio con Mama Africa, una band italiana che faceva jazz”. Ha suonato in tutta Italia e collaborato con artisti del calibro di Julio Iglesias, Leda Battisti, Youssou N’Dour. Il primo disco dei Tam Tam Morola, in uscita a breve, è firmato Soupo Music, etichetta indipendente che investe sui talenti ignorati da un mercato musicale atrofizzato.

Moustapha Mbengue e Tam Tam Morola
Il gruppo Tam Tam Morola è formato da un nucleo fisso di artisti, ai quali si aggiungono di volta in volta musicisti, ballerini e coriste: “Quando scelgo un artista non lo valuto in base ai parametri tecnici comuni, ma per la sua capacità di raccontare l’Africa”.

Moustapha è sposato con una donna italiana e hanno 3 figli, ai quali cerca di trasmettere la ricchezza delle origini africane. Ma si trova continuamente a fare i conti con il razzismo: ci sono i vigili che lo fermano vicino casa, al Pantheon, per controllare cos’ha nella borsa, c’è chi lo scambia per uno spacciatore, chi gli chiede cosa fa accanto alla macchina e deve tirare fuori le chiavi per dimostrare che è sua, ci sono i fermi all’aeroporto, sempre e solo per lui. E poi c’è quella telefonata arrivata due ani fa dal villaggio, di urla e lacrime, perché Modou, il suo amico di infanzia, era stato ammazzato a Firenze: “Quello che fa più male è che sia stato liquidato come il gesto di un pazzo. La verità è che una parte politica fomenta il razzismo per ottenere clamore e quindi voti”.

La paura secondo lui va sconfitta con il sorriso: “Questa estate in Calabria una mamma mi ha confessato che si vergognava perché diceva ai figli ‘se non mangi viene l’uomo nero’ e loro avevano timore di me. A quei bambini ho continuato a sorridere, finché si sono incuriositi e avvicinati. Gli ho dato un tamburo e siamo diventati amici. Il giorno dopo la madre era disperata perché a tavola non ubbidivano più: tanto l’uomo nero è buono!”.

Nella musica dei Tam Tam Morola risuonano i ritmi di tutto il mondo per trasmettere un messaggio di pace e scambio tra i popoli: “Nessuno è clandestino. Noi abbiamo un grande male, per curarlo si dovrebbero chiudere le fabbriche di armi. Questo è il mio sogno”.

Sandra Fratticci (2 aprile 2014)

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