Benedetto Spada e Carolina CalabresiBenedetto e Carolina vivono con i loro tre figli nel quartiere Portuense, a pochi passi dal Centro di prima accoglienza della Croce rossa italiana, finito da tempo nel mirino dei movimenti che ne reclamano la chiusura. Ci raccontano delle proteste contro gli ospiti della tendopoli di via Ramazzini, delle manifestazioni e dei presìdi. “A un certo punto ci siamo detti che non potevamo far vivere i nostri figli in questo clima di violenza e di razzismo. Dovevamo mostrargli che Roma è anche altro”. Da qui la scelta di “aiutare concretamente almeno una persona” aprendo la propria casa a Saidou, 22 anni dal Burkina Faso.Lui è uno dei trenta rifugiati e richiedenti asilo che nel corso del 2016 hanno trovato accoglienza in famiglia grazie a Refugees Welcome Italia, l’associazione attiva nel nostro Paese dal 2015 e parte del network internazionale nato a Berlino nel 2014 per favorire “un nuovo modello di inclusione“. Un approccio alternativo ai grandi numeri dei centri di accoglienza, ha spiegato Fabiana Musicco, tra i fondatori di RWI, in occasione di un incontro ospitato dalla biblioteca Moby Dick. L’obiettivo è consentire a rifugiati e richiedenti asilo di “inserirsi in modo attivo” nel tessuto sociale e di acquisire, nel più breve tempo possibile, l’autonomia necessaria a proseguire con le proprie gambe.Grazie all’impegno volontario e autofinanziato di professionisti e attivisti e all’uso della tecnologia, Refugees Welcome Italia favorisce l’incontro tra le persone. Il processo di selezione inizia con una registrazione sul sito dell’associazione e prosegue con interviste telefoniche e incontri personali per accertare l’idoneità delle famiglie e la loro affinità con i futuri ospiti. Attraverso la piattaforma è possibile inoltre attivare micro campagne di crowdfunding per aiutare a sostenere economicamente le nuove convivenze.
L’associazione è già attiva in numerose città italiane – incluse Roma, Milano, Torino, Bologna, Padova, Firenze, Catania e Cagliari – e punta a estendere la propria rete su tutto il territorio nazionale. RWI lavora dove sono presenti gruppi locali di attivisti che possano garantire alle famiglie e agli ospiti assistenza nel corso della loro convivenza, la cui durata può variare da un minimo di tre a un massimo di sei mesi.
La giovane coppia ammette che sì la loro esperienza “è stata più semplice” di quanto avessero immaginato e che i timori di parenti e conoscenti si sono rivelati infondati, anche perché, ci dice Benedetto, hanno agito “in modo intelligente, col supporto di un’associazione”. Senza contare la soddisfazione impagabile nel poter dire “io l’ho fatto” a quanti ripetono “prendilo a casa tua”.
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