Cos’hanno in comune Khaled − giovane profugo clandestino, fuggito dalla Siria e arrivato in Finlandia − e Wikstrom − venditore di camicie alle soglie della pensione, che decide di lasciare moglie, casa e lavoro? E’ quello che ci si chiede in tutta la prima parte del film di Aki Kaurismäki L’altro volto della speranza, in cui lo scorrere parallelo delle sequenze prolunga l’interrogativo fino alla scena in cui un pugno assestato da Wikstrom sul naso del siriano inaugura l’incontro tra i due. Da quel momento le vite di due persone, accomunate entrambe dall’abbandono di un passato tragico per l’uno e insoddisfacente per l’altro, camminano insieme nella costruzione di una nuova esistenza.Ma il regista, già prima dell’incontro, ha posto l’essenza dell’interrogativo dei nostri tempi: le società a democrazia evoluta, con leggi predisposte all’accoglienza e all’integrazione, sono in grado di farsi carico del dolore e della speranza di futuro di chi fugge dall’inferno? La sfera del Diritto esaurisce il sentimento umano della solidarietà e del rispetto della persona?A Khaled le istituzioni finlandesi preposte all’immigrazione rifiutano l’ingresso e ne dispongono il rimpatrio con le manette ai polsi – come accade a molti profughi in Europa che si vedono negare lo status di rifugiato, pur avendone diritto. In chi troverà aiuto? Nei barboni, nei musicisti di strada, soprattutto in Wikstrom, che ha voltato le spalle alla stabilità, e nei dipendenti del ristorante da lui rilevato, rimasti a lungo senza stipendio. In questo ristorante, la Pinta d’oro − un luogo apparentemente senza tempo, con arredo decadente e bizzarro, dipendenti inverosimili, cucina che varia da un giorno all’altro −, Khaled non è più lo straniero, il diverso, l’indesiderato, bensì un giovane uomo alle prese con la vita; in questo luogo dove la normalità è scardinata, la sua nuova esistenza diventa simile a quella di tanti altri esclusi dai circuiti normali. Qui trova la solidarietà che le istituzioni gli hanno negato.Il film di Kaurismaki non vuole commuoverci con il dramma degli immigrati, né ha interesse a suscitare buoni sentimenti, vuole invece farci riflettere e, a fronte di una visione negativa della società europea, ci presenta la comunità come valore, senza alcun intento consolatorio; infatti il finale è aperto: non sappiamo se Khaled si salverà, ma ci resta il suo sorriso, il sorriso di chi ha conosciuto la disperazione e ha ricominciato a sperare, grazie all’aiuto di altri “ultimi”. Con il suo stile essenziale, la recitazione straniata, l’ironia graffiante il regista ci offre una possibilità di risposta agli interrogativi posti sopra: sono le relazioni tra persone che si riconoscono come tali a fondamento della speranza e della vita, è il rispetto della sacralità della persona che può alimentare l’idea di un mondo migliore. E questo interroga la coscienza di ciascuno prima ancora che la legge.
Luciana Scarcia(22 aprile 2017)
L’altro volto della speranza, regia Aki Kaurismäkiinterpreti Sherwan Haji, Sakari Kuosmanen, Ilkka Koivula, Janne Hyytiäinen, Kaija Pakarien,sceneggiatura Aki Kaurismäkifotografia Timo Salminenmontaggio Samu Heikkiläproduzione Sputnikdistribuzione Cinemapaese Finlandiadurata 98′genere commedia drammaticaLeggi anche:Les Sauters:incontro con il co-regista Abou Bakar Sidibé
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