Siham, dal Marocco all’Italia, nuova giurata al MedFilm Festival 2017

Siham, proprietaria di Sherazade

 

Mi chiamo Siham el Faragui e sono nata in Marocco a Rabat il 18 giugno del 1979 ma a Rabat sono solo nata, la mia vita l’ho passata a Casablanca, infatti mi considero più di questa città”.
Siham quest’anno sarà uno dei quattro componenti della giuria Piuculture della XXIII edizione del Medfilm Festival, festival del Mediterraneo che si terrà al Cinema Savoy e al Macro, dal 10 al 18 novembre.

“Non sapevo molto di questo Festival ma quando la responsabile mi ha chiamato e mi ha spiegato cosa c’era da fare ho accettato subito. E’ un’esperienza nuova per me, una buona opportunità per conoscere persone e arricchirmi emotivamente. Il cinema mi piace, ci vado spesso con i miei figli. I film maghrebini devono essere capiti, sono complessi ma di solito sono ottimi lavori” racconta.
A 17 anni lascia il Marocco e va in Svizzera, da una parente, accompagnata dalla madre, perché minorenne, con un visto turistico di sole due settimane.
Mi ricordo il giorno in cui mamma è partita: era la prima volta che ci separavamo. Io non l’ho accompagnata fino a dentro l’aeroporto perché avevo paura che mi prendessero senza documenti. La guardavo da lontano e piangevo. Ma non avevo scelta, la mia famiglia aveva investito delle speranze su di me, sapevano che non li avrei delusi”.

In Marocco Siham aveva una vita difficile: “non ho mai pensato a giocare, a essere spensierata come i bambini della mia età ero già grande a 6/7 anni.
Ho bruciato tutte le tappe, volevo migliorare, essere indipendente, guadagnare soldi per la mia famiglia”.

Siham rimane in Svizzera per due anni, fino a che non è fermata dalla polizia locale e rimpatriata in meno di dieci ore, con i vestiti che ha addosso.
“E’ stato molto traumatico per me, da un giorno all’altro mi sono trovata ad essere una miserabile, non mi avevano lasciato neanche il tempo di riprendere le mie cose. Avevo 700 franchi svizzeri in tasca con cui hanno pagato il mio biglietto”.

In Marocco passa un anno d’inferno, si deprime “non avevo più nulla e vedevo tutto nero.
In Svizzera ero cresciuta di altri dieci anni avevo gustato l’indipendenza, la libertà, un paese civile. Ancora a distanza di tempo sento l’utilità di quell’esperienza nella mia vita quotidiana: sono puntuale, corretta”.
Nel ’99 arriva però un’opportunità lavorativa per andare in Italia.
La sua vita a Roma cambia completamente: apre un centro estetico specializzato in cera araba, Sherazade, si fa una famiglia, ha due figli che ama, un marito che la rispetta, aiuta, con cui si confronta: “Ho lavorato per averla. Sono realizzata nel mio lavoro. A volte sono gelosa e possessiva delle mie cose, perché ho paura di perderle. Sembro aggressiva e scontrosa, ma è una forma di difesa. Non mi è stato regalato niente nella vita, ogni goccia, ogni granello di sabbia l’ho guadagnato lottando e ho paura di vivere in un sogno, e che possa finire”.

Quest’anno il festival è incentrato soprattutto sulla figura della donna in nord Africa. “Penso che sia importante che mi abbiano scelto come giurata perché sono una di loro. Mi vedrò nello specchio: le donne dei film saranno la mia immagine riflessa”.

Quando torna in Marocco si rende conto che non tutte le donne hanno avuto la sua fortuna ma a volte “vedo i miei occhi di trent’anni fa in qualcuna di loro e gli auguro davvero che possa avere lo stesso mio percorso. Se non fossi stata povera non sarei mai andata via dal Marocco, lo amo tantissimo. E’ il paradiso in terra, me ne sono andata per rinnovarmi e migliorare, ma amo il mio Paese, moltissimo”.

Elena Fratini

(1/11/2017)

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