Che succede in Iran all’indomani delle proteste che sembravano aver portato il paese degli ayatollah sull’orlo di una nuova “rivoluzione”, secondo molte cronache dei media internazionali, anche di quelli italiani? Tutto risolto con le “marce” volute dal regime, inneggianti a Khamenei e Rohani che hanno fatto seguito agli arresti e ai morti? Tutto e’ rientrato come per incanto? Non sembra proprio. E il futuro resta un’incognita.Se da una parte lo stesso capo del governo Rohani ha affermato in una dichiarazione rilasciata a Tehran e riportata dalla Reuters che “le persone avevano esigenze economiche, politiche e sociali”, che il suo governo per il momento non è ancora riuscito a risolvere, ma che vanno riconosciute, dall’altra la Guida Suprema Khamenei ha asserito che le proteste siano state originate da un “complotto internazionale volto a privare l’Iran dei suoi successi in Medio Oriente”.Per capire qualcosa di più di questo scenario molto complesso, vale la pena ricorrere al parere di alcuni esperti internazionalmente riconosciuti. Vittorio Emanuele Parsi, ordinario di Relazioni Internazionali all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, afferma, su “Panorama”, che la situazione che si è venuta a creare in Iran dopo le proteste, “potrebbe assumere i contorni imprevisti di uno scontro risolutivo tra le due anime della ormai quarantenne creatura di Ruhollah Khomeini, la repubblica islamica. In realtà la sensazione è quella che – continua il professore – se complotto c’è stato, si è trattato di quello orchestrato dai seguaci di Ahmadinejad nei confronti di Rohani e, probabilmente, in una prima fase assecondato dai Pasdaran, che però sono intervenuti quando la situazione è sembrata scappare loro di mano. Rohani – conclude Parsi – appare il vaso di coccio trai vasi di ferro: “spiazzato” sia rispetto agli ortodossi del regime sia rispetto ai liberal che lo avevano eletto per ben due volte con grandi speranze. Nel mirino anche di tutti quelli che, all’ombra delle sanzioni, si sono arricchiti per anni e che temono che la normalizzazione internazionale minacci i loro profitti”.Sulla stessa lunghezza d’onda il commento di Nicola Pedde, esperto di Iran, direttore dell’ Institute of Global Studies che promuove e coordina attività di ricerca e formazione nelle aree del Medio Oriente, del Corno d’Africa e del Golfo Persico.“Nelle strade di Tehran – ha scritto Pedde – hanno trovato sbocco le frustrazioni di una parte della società che non ha un’agenda politica, non inneggia a una nuova rivoluzione, ma che si sente tradita nelle molte aspettative riposte in questo esecutivo e nel programma politico che ha portato l’Iran a siglare con la comunità internazionale un importante accordo. Sicuramente – continua Pedde – tra le scintille è da inserire l’azione delle forze politiche d’opposizione, nell’area conservatrice ed ultraconservatrice, che per ragioni diverse cercano di opporsi alla politica dell’esecutivo promossa da Rohani. Queste ultime guardano con sospetto e diffidenza alle aperture del presidente verso la comunità internazionale, nel timore di vedere compromessi i propri interessi economici costruiti su quasi quarant’anni di autoreferenzialità nel quadro dell’embargo internazionale”.Meno critico, infine, sulla situazione in cui si troverebbe il capo del governo iraniano, Amir Madani analista e commentatore politico per Huffington Post, Limes e altre testate internazionali. “Rohani, con tutti i suoi limiti, resta l’unica speranza – dice – per la sua politica di apertura verso la comunità internazionale che, se confermata, potrebbe essere in grado di avviare un processo di modernizzazione politica”. A incoraggiare il processo di apertura da parte dell’Iran la posizione dei paesi europei che fanno parte del Consiglio di Sicurezza dell’Onu con potere di veto (Regno Unito, Francia, Germania), che hanno ribadito l’importanza di andare avanti e rispettare l’accordo sul nucleare firmato a suo termpo anche dal presidente Obama e “congelato”, grazie alla pressione europea, da Donald Trump per altri 120 giorni in attesa di modifiche. Sulla stessa scia di distensione, l’Italia che, non essendo membro del Consiglio di Sicurezza dell’Onu con potere di veto, ha dato seguito all’importante firma tra Invitalia Global Investment e le banche iraniane Bank of Industry and Mine e Middle East Bank per finanziare con 5 miliardi di euro di portafoglio iniziale da parte italiana, partnership e progetti (nel campo delle infrastrutture, in quello dell’ oil & gas, energia elettrica, metallurgia ecc.), e da parte iraniana per rilasciare le necessarie garanzie sovrane che assicurino il rischio di chi investe.
F.C.(11 gennaio 2018)
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