Genocidio del Ruanda: 24 anni dopo, per non dimenticare

 

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Profughi del Ruanda
Del genocidio del Ruanda non se n’è parlato e non se ne parla abbastanza. In soli 100 giorni sono stati sterminati un milione di ruandesi. Questi i temi principali, affrontati da chi quella strage l’ha vissuta a vari livelli come è stato testimoniato nella conferenza: “Ruanda, 24 anni dopo” del 9 maggio 2018, presso il liceo Pilo Albertelli.

Genocidio del Ruanda: i media

“Si è trattato di una strage che si sarebbe potuta evitare se solo le grandi potenze mondiali fossero intervenute di più e avessero capito l’entità del genocidio, invece di ritenerlo una guerra tra due etnie. Anche i mezzi d’informazione hanno sminuito ciò che stava accadendo: i titoli delle testate giornalistiche parlavano di “scontri etnici”. Solo la BBC e la CNN hanno in parte riportato la ferocia che si è consumata tra Tutsi e Hutu in soli 100 giorni. Noi giornalisti eravamo abituati a parlare dell’Africa per le guerre interne e le frequenti catastrofi naturali. Lo scontro fra due etnie non ci sembrava così rilevante. Siamo stati ignoranti e superficiali.” Pietro Veronesi, vicepresidente di Ibuka Italia, spiega il disinteresse riguardo al genocidio del Ruanda delle principali potenze internazionali e delle testate giornalistiche e televisive.

Genocidio del Ruanda: le testimonianze

Armella Muhimpundu, appartenente all’etnia dei Tutsi racconta la sua testimonianza di sopravvissuta “prima del colonialismo le due etnie costituivano un solo grande gruppo, dopo l’indipendenza cominciò la guerra tra noi per non essere dominati dall’altro. Allora mio padre decise di mandare me, mia sorella e mia zia in convento. Una notte degli uomini Hutu riuscirono a fare irruzione e cominciarono a picchiare le persone con spranghe e bastoni. Una suora nascose me, mia zia e mia sorella, poi siamo riuscite a scappare nella foresta, così ci siamo salvate. Un altro aiuto importante psicologico l’ho avuto anni dopo nel collegio dove ho studiato: le suore ci hanno insegnato a non farci condizionare dai discorsi dei nostri genitori, dettati dal dolore, ma ad affrontare quanto accaduto con l’amore. Oggi faccio parte di un gruppo che cerca di riconciliare Tutsi e Hutu. Il nostro non è un esempio isolato: in Ruanda ci sono molte associazioni nate con lo stesso scopo” conclude Muhimpundu.Françoise Kankindi, presidente della Onlus Bene-Rwanda invece si trovava già in Italia nel ’94, dove era in esilio dal ’90. “Vedevo tanta ignoranza nelle notizie che passavano nei telegiornali, perché i media riprendevano le informazioni dalla Francia, la quale sminuiva il genocidio. Apprendere che in una notte 5.000 militari hanno sterminato un intero villaggio mi ha fatto veramente male. Oggi ho la cittadinanza italiana, torno spesso in Ruanda e vedo un paese completamente cambiato dalle stragi. Mancano i volti e le costruzioni di un tempo, ma il mio paese ha una resilienza incredibile. L’Italia – conclude la Kankindi – è sempre stata accogliente, è la mia seconda patria. Purtroppo oggi ci sono più atti e idee razziste rispetto a quando sono arrivata: le stragi nel Mediterraneo e la poca rilevanza mediatica segnano una pagina negativa nella storia italiana”.

Genocidio del Ruanda: ricordare per non ripetere

È importante ricordare pagine di storia anche meno nota, per far sì che il rischio che azioni trgiche e violente vengano ripetute vada via via scemando. Per questo molti relatori hanno apprezzato l’impegno del liceo Arbertelli nell’organizzare la conferenza. “A mio figlio racconto la storia del nostro paese e di come sono stata accolta in Italia; gli insegno a essere tollerante e cercare la pace” così conclude il suo intervento Françoise Kankindi.

Marzia Castiglione(14 maggio 2018)

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