Carta di Roma e Oim: il ruolo dei giornalisti sulle migrazioni

Campagna di comunicazione per informare i paesi d'origine delle migrazioni sui rischi mortali ai quali si va incontro partendo: la scelta deve essere individuale e consapevole

Aiutare potenziali migranti ad informarsi correttamente mettendoli in guardia rispetto ai reali pericoli del viaggio e all’indifferenza dei trafficanti in merito alle condizioni di sicurezza e di benessere dei migranti;Informare correttamente l’opinione pubblica nei paesi di origine, transito e destinazione, sulle drammatiche condizioni in cui i migranti sono costretti a spostarsi, al fine di sensibilizzare il pubblico sull’emergenza umanitaria mondiale rappresentata dalla crisi migratoria;Supportare iniziative di sostegno alle comunità nei paesi di origine, promuovendo una corretta informazione sulle alternative a disposizione dei giovani in Africa occidentale, incluse opportunità socio-economiche;

Migranti accampati al confine con la Francia
E’ il progetto “Aware migrants” lanciato due anni fa dall’agenzia dell’Onu per le migrazioni, OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (www.italy.iom.int/it/chi-siamo/struttura) finanziato dal Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione del Ministero dell’Interno italiano. La campagna – si legge – è nata con l’obiettivo di informare i migranti sui rischi del viaggio e di metterli nelle condizioni di prendere una decisione libera e consapevole – decisione che è e deve restare una scelta individuale. A partire dal 2017 altri paesi europei stanno iniziando a dare il loro contributo al progetto. In particolare, i fondi del Ministero degli Affari Esteri tedesco hanno permesso di lanciare la seconda fase del progetto: “Engaging West African Communities”. Questa fase, messa in atto per il momento in Senegal, Ghana e Niger, mira a rafforzare la componente di sensibilizzazione e ad enfatizzare le voci dei migranti di ritorno, che possono condividere le loro esperienze con le comunità di origine al fine di evitare che altri corrano gli stessi rischi.
La traversata nel deserto
Se ne è parlato la settimana scorsa nel workshop organizzato nella sede del Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti da Carta di Roma, l’ associazione fondata nel dicembre 2011 per dare attuazione al protocollo deontologico per una informazione corretta sui temi dell’immigrazione, alla quale aderiscono 14 associazioni della società civile, con i rappresentanti OIM e con esperti  e  rappresentanti della diaspora. Fin qui sembra che il protocollo deontologico sia stato poco e male rispettato da parte della categoria dei giornalisti in genere. “Sui grandi giornali, anche quelli indipendenti – ha detto Valerio Cataldi, presidente di Carta di Roma – si continua a usare una terminologia che è messa al bando dal codice deontologico: barconi, clandestini, invasione.  Solo uno dei direttori – ha risposto al nostro appello “Il giornalismo non sia al servizio dell’odio e del razzismo” www.cartadiroma.org/news/in-evidenza/odio-propaganda-appello-ragioni/ – ha dovuto riconoscere  Cataldi – gli altri lo hanno semplicemente ignorato”. Il problema è che la maggior parte della stampa si limita a fare da cassa di risonanza alle affermazioni di esponenti politici “palesemente menzognere e fuorvianti – si legge nell’appello – espressioni che utilizzano un lessico rabbioso, violento e istigatore di violenza – per propagandare uno specifico punto di vista e per continuare a rimettere in cima alle priorità italiane una sola questione: lo stigma e il pre-giudizio contro le persone in fuga verso l’Europa”.
Uno delle migliaia di gommoni stipati dai migranti che pagano una fortuna per fare un viaggio a rischio
In realtà gli sbarchi in questi anni sono sempre andati calando e fino a giugno  2018  sono stati un totale di 44.957 migranti e rifugiati a giungere  in Europa via mare, rispetto ai  94.986, dell’anno scorso e ai  230.230 del 2016. Numerifa notare Flavio di Giacomo, responsabile Comunicazione della Oim per l’Italia –   che non servirebbero nemmeno a riempire piazza San Giovanni che ha una capienza stimata di 700 mila persone, per la festa del 1 maggio”. Aumenta sempre di più, per contro,   il numero di morti e dispersi e il conteggio non può che essere per difetto: circa 1000- secondo i dati forniti dall’Oim solo da gennaio a giugno di quest’anno. Oltre ai naufragi,  sono le lunghe  traversate del deserto e gli abusi, le violenze, le torture, le detenzioni illegali a interrompere il viaggio di trasferimento di molti con la morte.E se la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato in questi giorni Tripoli “porto non sicuro” per gli sbarchi, allo stesso tempo si continua a impedire alle persone la libertà di movimento e i governi continuano a negare la possibilità di espatrio legale. Unica soluzione che potrebbe mettere fine al business dei trafficanti di migranti che non può che continuare a prosperare.
Chi ce l’ha fatta
La  campagna – “Aware migrants” – ha spiegato Flavio Di Giacomo – vuole essere un ponte di dialogo tra l’Italia e i paesi d’origine attraverso un  progetto integrato e multimediale, in cui i canali digitali di un sito web in tre lingue e dei social media si integrano con mezzi tradizionali quali spot radio e TV per far conoscere le storie di chi “non ce l’ha fatta”. E informare anche su ciò che si può fare, restando nel proprio paese.  Dal 2015 a oggi la composizione dei flussi dei migranti è cambiata – ha aggiunto Di Giacomo –  in quegli anni erano i siriani e gli eritrei a scappare ma loro non avevano altra scelta e sapevano bene i rischi ai quali andavano incontro. Oggi la maggior parte dei migranti arrivano dall’Africa Occidentale, dal Gambia dal Senegal, dalla Nigeria. Si tratta per la maggior parte dei cosiddetti “migranti economici” e parlando con loro ci siamo resi conto che quello che li accomuna è la non consapevolezza dei rischi ai quali vanno incontro. Molti ci hanno detto: se avessi saputo che inferno avrei dovuto affrontare,  non sarei partito. Il nostro intento sia chiaro non è dissuadere le persone dal partire – sottolinea  il rappresentante OIM –  ma informarle, rendere chiaro che il viaggio non sarà come promettono i trafficanti su facebook, facile e senza rischi,  ma pieno di pericoli e soprusi, con il rischio di morire”. Per aiutare i giornalisti a toccare con mano le realtà delle quali si trovano spesso a scrivere senza averle mai vissute da vicino – ha concluso Di Giacomo –   quest’anno nell’ambito del progetto Aware Migrants  saranno organizzati dei training con il rilascio dei crediti formativi nei paesi d’origine delle migrazioni:  Nigeria e Senegal. I giornalisti italiani potranno acquisire, così,  una chiave di lettura “sul campo” del fenomeno. In una seconda fase saranno i giornalisti dei paesi di provenienza delle migrazioni a venire in Italia, accompagnati dai  giornalisti della diaspora, per ricevere tutte le informazioni sul paese di arrivo. All’incontro come abbiamo accennato erano presenti alcuni rappresentanti della  diaspora africana del Senegal e della Nigeria.Granma
Alfie Nze, regista nigeriano
Alfie Nze è un regista nigeriano noto alle cronache per aver diretto insieme al nostro  Daniele Gaglianone  il film Granma, nato da un’idea di Gianni Amelio e presentato l’altr’anno al festival di Locarno, rivolto ai ragazzi che dall’Africa sognano di fuggire, alle famiglie che scelgono di partire per l’Europa senza conoscere i pericoli che possono correre lungo questo viaggio. Il protagonista, Jonathan, è un giovane cantante hip hop di Lagos (Nigeria): all’inizio del film, mentre sta registrando una nuova canzone, una telefonata lo avverte che suo cugino Momo è morto in mare cercando di raggiungere l’Europa. Si ritrova così costretto a intraprendere con sua nonna un viaggio nel cuore del paese, dove vive la nonna di Momo, per darle la triste notizia. Granma, da cui è stato tratto anche il video musicale Challenging Death, ha avuto molto successo ed è stato stato proiettato non solo in Europa, ma anche e soprattutto nei paesi dell’Africa da cui partono i flussi migratori e dove – ci dice Nze a margine dell’incontro – le informazioni vere non arrivano, ma solo i frammenti di storie di chi ’ce l’ha fatta’, e che magari può permettersi una settimana di gloria girando nel suo paese natale con una Mercedes sgangherata. La mia sfida – aggiunge –  è  di portare la vera  informazione, fisicamente, casa per casa. Il progetto al quale sto lavorando in questo momento – aggiunge –   riguarda il fenomeno ben conosciuto da oltre 20 anni delle schiave nigeriane destinate alla prostituzione  che vengono fatte partire dietro l’illusoria promessa di un posto da parrucchiera o commessa. Quando arrivano in Italia o in altri paesi si trovano davanti a una realtà molto differente: l’ inferno in cui le costringono a vivere i loro sfruttatori. Io voglio filmare queste scene d’’inferno per farle poi vedere alle madri che devono sapere cosa succede alle loro figlie”.MODOU RACCONTAAltro protagonista Modou Gueye  arrivato in Italia dal Senegal nel 1990.  Attore teatrale, dal 1993 organizza spettacoli per la diffusione della cultura africana e per la promozione della multiculturalità  con il Laboratorio di Teatro “Mascherenere” di Milano dove vive. Come presidente dell’associazione socio-culturale Sunugal  realizza attività culturali, artistiche ed educative in Italia per la diffusione di informazioni sul Sud del mondo e sulle migrazioni, mentre in Senegal realizza progetti di sviluppo socio-economico prevalentemente nelle aree di Louga e Thiès. Con Martino Lo Cascio, fratello del noto attore Luigi, psicologo e psicoterapeuta, autore di opere teatrali e documentari incentrati sui temi del disagio sociale, delle migrazioni e dell’inchiesta antropologica, Modou ha scritto il testo del monologoLo Strappo” il Viaggio di un clandestino che porta in giro nei teatri off italiani.  Nel monologo Modou racconta la preparazione del mitico viaggio alla ricerca di una vita migliore. “Modou lavorò sette giorni su sette e visse a pane e acqua per mettere da parte i soldi e acquistare il  biglietto per quel passaggio che costava più di una crociera di lusso.  Poi rimase in attesa per mesi. Quando più nessuno ci credeva, la carretta prese il largo. Per tanto tempo i suoi ricordi si interrompevano a questo punto.Per anni aveva tentato di ricordare. Finché un giorno si trovava in una città di mare, e passeggiando sul molo trovò in acqua una bottiglietta. Quasi istintivamente la recuperò e immediatamente iniziò a ricordare il viaggio.”
Modou Gueye in una scena de “Lo Strappo”
“Noi della diaspora – ci dice Modou – conosciamo la mentalità, la cultura di provenienza della gente che arriva o che sogna di venire in Italia, dovremmo essere utilizzati dalle istituzioni governative per affrontare  il problema dell’integrazione con cognizione di causa, ma invece veniamo tenuti ai margini, tutto quello che io ho fatto in questi anni, l’ho potuto realizzare grazie ad altre singole persone che ho incontrato e che avevano la mia stessa sensibilità, ma senza sostegni economici”.Oumar Ndyae è a capo di un gruppo che fa informazione nei paesi africani: A2i media groupe. “Un’iniziativa  nata – ci racconta –  dalla sinergia di persone che hanno deciso di unire le  loro forze, la loro  abilità e le  risorse materiali e finanziarie per contribuire ad affrontare il fenomeno dell’immigrazione che sta raggiungendo proporzioni preoccupanti e pericolose. Dopo aver progettato il portale web: www.a2itv.com, abbiamo lanciato A2i il canale satellitare dedicato all’immigrazione al 100%, che copre tutta l’Europa e il Nord Africa attraverso HOTBIRD 13 (frequenza 12673, V, TP 29900) e SKY ITALIA , canale 830. In attesa di una copertura completa del continente africano, A2i la si vede in streaming live su www.a2itv.com e SunuRadiotv – aggiunge Ndyae –  che spiega:  la diffusione di programmi e  dibattiti trasmessi sulle  reti tv africane  sono molto importanti per far giungere informazioni corrette perché purtroppo le persone non leggono o perché sono analfabeti o perché non hanno tempo”.

Francesca Cusumano(29 luglio 2018)

Leggi anche:Inserire l’immigrazione in una politica di sviluppo del paeseFact checking immigrazione: sbarchi e accoglienza in numeriServe più culture per parlare di immigrazione