Tavolata romana senza muri – Fotografie di gma“Imagine there’s no countries. It isn’t hard to do”. Sulle note di John Lennon i 650 commensali della Tavolata Romana Senza Muri prendono posto occupando due terzi di via della Conciliazione. Sabato 20 ottobre c’è tutto il mondo seduto a tavola insieme: italiani, stranieri, bambini, giovani, anziani, persone in difficoltà economica, politici, cittadini comuni, e perfino qualche turista di passaggio. Per il tempo di un piatto di pasta, è possibile immaginare che non ci siano paesi e non ci siano difficoltà.
Come nasce la tavolata romana senza muri
La tavolata romana è ispirata a quella voluta a Milano lo scorso giugno dall’Assessore Pierfrancesco Majorino. Organizzata dal Municipio I Centro Storico e da FOCSIV – Volontari nel mondo, con promotori FERPI – Federazione Italiana Relazioni Pubbliche, INTERSOS e MASCI – Movimento Adulti Scout Cattolici Italiani e con il coinvolgimento di oltre 90 associazioni e ONG, l’idea di un pranzo conviviale nel senso più puro del termine nasce per dimostrare che Roma da 2700 anni è crocevia di persone, lingue, sapori e culture da tutto il mondo.
“Da sempre multietnica e multi religiosa, è questa la Roma che ci piace”. La presidente del Municipio I Sabrina Alfonsi fa gli onori di casa, insieme a Monsignor Luca Bressan che porta i saluti di Papa Francesco e augura ai commensali “buon appetito” in tutte le lingue. Tra i commensali d’eccezione, Emma Bonino che invita altre città “grandi o piccole ad accogliere questa idea” e l’ex Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni che afferma convinto: “l’Italia è questa: non è quella della scuola di Lodi – riferendosi al caso delle mense scolastiche – ma quella di Via della Conciliazione. Ci sono paure legittime tra i concittadini ma la risposta non può essere un muro. L’unico che ci piace è quello della nazionale”, riferendosi alla finale del campionato mondiale di pallavolo femminile.
I commensali della Tavolata romana senza muri
Con lo sfondo monumentale di San Pietro, la musica in sottofondo e la bontà semplice di un piatto di pasta al pomodoro, la tavolata diventa un banchetto di festa: c’è chi fa nuove conoscenze, chi ritrova vecchie amicizie, chi gioca a carte. “È un incontro piacevole e importante”, dice Farah, sudanese a Roma dal 1988. È venuto insieme a sua moglie Rodica, che invece arriva dalla Romania ed è in Italia da 17 anni. Lui musulmano, lei ortodossa, si sono conosciuti tre anni fa durante una visita alla Basilica di Santa Rita a Cascia: “L’umanità è tutta su una strada e alla fine Dio è uno solo. Cambia solo il modo di pregarlo”, dice lui.
Da tanti anni nella Capitale da due capi diversi del mondo, condividono le idee sui migranti. “Sono venuto per problemi economici, con un visto turistico. Il movimento dell’immigrazione non è cominciato adesso. Anche Adamo si è spostato”, dice Farah. “A un certo punto devi decidere dove vuoi vivere per crescere. Si cambia città, paese, continente. La cosa importante per la gestione dell’immigrazione è il sistema. Ho studiato economia e commercio in Egitto, ti faccio un esempio: dove vivono bene 100 persone in un paese vivono bene anche 110, 120, 130 ma quando arrivi a 200 senti la differenza. E allora che si fa: ammazziamo quelli nuovi? Quelli vecchi? o allarghiamo il territorio economico? Anche a casa mia se voglio ospitare, posso ospitarne uno, due, tre poi devo chiudere”. Rodica annuisce: “Ci rendiamo conto che le persone stanno male, anche gli italiani hanno ragione. Ma comunque quando sei serio, quando hai un lavoro, qui ti trovi bene”.Nel frattempo il pranzo è arrivato alla frutta e i volontari cominciano a sparecchiare. Alhassane viene dalla Guinea e ha 23 anni, mentre Ibrahim ne ha 29 e viene dalla Costa d’Avorio. Sono due ospiti del centro SPRAR Pantano e hanno deciso di dare una mano durante questa “bella giornata”. Loro in Italia sono arrivati solo da due anni. “Voglio rimanere qui per lavorare, voglio fare il cuoco e pagare le tasse, come dice Salvini. Ma ho paura del futuro”, conclude Alhassane con il timore di chi ha un permesso di soggiorno per motivi umanitari e l’incertezza che deriva dalle nuove procedure del Decreto immigrazione e sicurezza.
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