L’incontro Conoscere l’immigrazione. Spazi e strumenti per un dibattito ragionato, organizzato da Piuculture nell’ambito del MedFilmfestivalTempi difficili per la nostra democrazia: atteggiamenti di xenofobia, linguaggio violento e vuoto della ragione conquistano settori sempre più ampi della società e sempre più si impone una comunicazione viziata da pregiudizi e spregiudicata. Sconcerta la rapidità con cui queste tendenze si sono diffuse, rapidità che mal si accorda con i tempi della riflessione critica.Quali i motivi della crescente ostilità verso i migranti? Come fare per contrastarla e costruire un punto di vista critico sui fatti dell’attualità?Questi gli interrogativi per rispondere ai quali Piuculture ha organizzato l’iniziativa Conoscere l’immigrazione. Spazi e strumenti per un dibattito ragionato, tenutasi il 14 novembre scorso a Roma, nell’ambito del MedFilmfestival.Tra i popoli della UE gli Italiani tendono a sovrastimare di molto la presenza di stranieri nel loro territorio: il 73% ritiene che essi siano il 25% anziché il 7% della realtà, ignorando che per rapporto abitanti/immigrati l’Italia è all’undicesimo posto (2,4 ogni 1000 abitanti) e che gli arrivi sono notevolmente diminuiti negli ultimi due anni (22.519 nel 2018 contro 161.000 nel 2016). Da questi dati, contenuti in una recente indagine dell’Istituto Cattaneo di Bologna, è partita in apertura dell’incontro Nicoletta del Pesco, vicepresidente dell’Associazione Piuculture e direttrice del giornale Piuculture.it, per arrivare a illustrare che cosa stiano facendo l’Associazione e il giornale per contribuire a ricostruire un’opinione pubblica accogliente e solidale: la prima sta ampliando le sue attività di insegnamento della lingua nelle scuole, arricchendole con iniziative multiculturali rivolte a tutta la scuola e sta creando occasioni di conoscenza e riflessione sull’immigrazione; il giornale non si limita più a raccontare storie, vita quotidiana, cultura delle persone immigrate, ma sta cercando di rivolgersi proprio a quegli Italiani ostili e ai loro pregiudizi.Un’esemplificazione di questa linea redazionale è stata fatta dai ragazzi della redazione insieme a giovani migranti che, guidati da Laura Cardinale de Il Salotto di Giano, hanno letto brevi estratti di storie di vita di alcuni immigrati da tempo in Italia, unendoli sia ai dati statistici pubblicati dalla Cartolina dell’editore Laterza sia ai pregiudizi diffusi tra la gente.Gli strumenti della Storia per contrastare la distanza tra realtà e percezione del fenomeno migratorioNell’ultimo anno le narrazioni sull’accoglienza sembrano non avere alcuna efficacia contro la crescente ostilità verso i migranti, paradossalmente manifesta anche in Paesi come l’Ungheria in cui gli stranieri non ci sono. Per ricostruirne storicamente l’origine Marino Sinibaldi, conduttore del dibattito, ha chiesto allo storico Michele Colucci, autore del recente libro Storia dell’immigrazione straniera in Italia, edito da Carocci, di usare gli strumenti della ricerca storica per aiutarci a capire.La fase di passaggio verso uno scenario diverso dell’immigrazione in Italia, secondo Colucci, risale alla fine degli anni ’80, quando l’uccisione in una rapina a sfondo razzista di Masslo, esule sudafricano e bracciante nella campagna del Casertano, provoca una serie di manifestazioni di protesta contro lo sfruttamento dei braccianti. Questa reazione di braccianti, sindacati e associazioni porta allo scoperto la realtà di sfruttamento e avvia un processo di emersione del fenomeno immigrazione, fino ad allora separato dalla società italiana, che porterà in breve tempo a legiferare sul riconoscimento dei diritti degli immigrati (legge Martelli). Per sottrarsi allo scenario di emergenza che non lascia spazio alla riflessione e rende i sentimenti di solidarietà superflui o controproducenti – ha spiegato Colucci –, è necessario prestare attenzione a quelle realtà di emarginazione in cui stranieri e italiani condividono le criticità dell’attuale fase storica e cercano soluzioni, e valorizzare, oltre ai prodotti culturali di immigrati di seconda generazione, le esperienze di integrazione nelle campagne, nelle scuole e negli ospedali, perché è in tutte queste realtà che si sta già delineando una direzione per il futuro.
Costruire alleanze tra “noi” e “loro”
Come rendere praticabile con progetti concreti, anche legislativi, la prospettiva delle alleanze tra “ultimi e penultimi” in un Paese in cui persino un progetto temperato di integrazione come lo Jus soli è stato bocciato?A questa domanda di Sinibaldi padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, ha risposto dicendo che nelle società contemporanee si è raggiunto un livello tale di saturazione di informazioni e dati che aggiungerne altri diventa ininfluente. La strada che il Centro Astalli sta percorrendo è quella del lavoro che ogni giorno volontari e rifugiati fanno insieme per cercare delle soluzioni ai problemi che si incontrano. Attraverso un’alleanza tra noi e loro si costruisce un “noi” che può immaginare e creare qualcosa di nuovo, scardinando nell’operare insieme la logica della contrapposizione. Certamente questa strada non è facile, perché si scontra con un progetto politico che contrappone gli ultimi ai penultimi, arrivando a criminalizzare l’accoglienza. Ma la strada da percorrere resta quella della costruzione insieme.
Fare film come atto politico contro gli stereotipi
La strada del rendere protagonisti i soggetti nei contesti reali che si vogliono raccontare è quella scelta da Giovanni Pompili, regista e direttore della Kino produzioni, che ha realizzato dei cortometraggi nelle periferie degradate di Roma. Quando 4 anni fa i media diffusero le notizie di scontri fra rifugiati del centro Sprar e abitanti del quartiere Tor Sapienza, scontri che poi risultarono essere stati orchestrati da Casa Pound e gruppi legati alla criminalità – ha raccontato Pompili – lui e i suoi collaboratori decisero di organizzare dei laboratori con i ragazzi del quartiere per raccontare la periferia in modo diverso, ribaltando lo stereotipo del luogo di degrado, violenza, spaccio, e rappresentare invece le tante forme di energia vitale che lì ci sono. I prodotti di questo lavoro fatto con i ragazzi del quartiere protagonisti delle loro storie sono 3 cortometraggi, presentati alla festa del cinema di Roma 2016. All’incontro è stato proiettato: Abbiamo vinto noi, una delicata storia d’amore tra due ragazzi, che spazza via gli stereotipi sulla periferia come luogo di perdizione.
Serve un giornalismo più responsabile che faccia riflettere
Ai fatti di Tor Sapienza ha fatto riferimento anche Annalisa Camilli, della rivista Internazionale, perché sono stati un caso esemplare di come la realtà possa venire manipolata in funzione di un progetto politico antidemocratico. Gli scontri nel quartiere erano stati raccontati dai giornali e dai social come una rivolta degli abitanti contro i rifugiati del Centro Sprar, ma andando sul posto e parlando con le persone si capì che le cose erano andate come ha raccontato Pompili. Quella fu la prima occasione, secondo la Camilli, in cui si sarebbe già dovuto capire quello che più tardi è emerso con più chiarezza e cioè che esistono progetti politici che utilizzano i social per fare delle vere e proprie campagne di informazione distorta, utili a creare un clima xenofobo. D’altro canto esiste anche un problema di debolezza della stampa italiana che spesso utilizza i social acriticamente. Considerando la rapidità con cui l’opinione pubblica cambia idea e la volatilità del consenso, quello che serve è un giornalismo più responsabile e più lento per favorire i tempi della riflessione e raccontare di più quelle situazioni di marginalità che accomunano immigrati e italiani.
Luciana Scarcia(20 novembre 2018)
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