“Era venuto il momento di farlo uscire dal mito per analizzarne la complessità umana sia dal punto di vista politico sia nella dimensione privata”.Alberto Zanconato, giornalista e corrispondente per 12 anni in Iran dell’agenzia Ansa, spiega, così, la “molla” che lo ha spinto a scrivere “Khomeini, il rivoluzionario di dio”, a quarant’anni dalla rivoluzione che l’11 febbraio 1979 seguì alla cacciata dello Scia Mohammad Reza Pahlavi da Tehran e che cancellò 25 secoli di monarchia. Si tratta della prima biografia di quello che resta, nel male forse più che nel bene, uno dei grandi personaggi della storia del ‘900, il cui mausoleo a Tehran è ancora oggi meta di pellegrinaggio per il popolo più tradizionalista, ma allo stesso tempo ignorato, anche perché costruito al di fuori della città, dagli iraniani progressisti che a Khomeini non pensano più da tempo.In quegli anni il nome dell’ayatollah era citato dai politici americani per indicare il nemico per eccellenza dell’Occidente e, al contrario, in patria quel nome era oggetto di venerazione. Ma un ritratto di questo “rivoluzionario di dio” come lo definisce l’autore, avulso dai soliti stereotipi che da sempre hanno circondato la sua figura, ancora non era stato fatto.Il libro si apre con una lettera che Khomeini indirizzò alla moglie lontana mente era in pellegrinaggio alla Mecca. “Da quando sono partito – scrive il futuro ayatollah – ti ho sempre pensata. Dal momento in cui sono stato separato da te, mia amata, la bellezza del tuo viso è rimasta riflessa nello specchio del mio cuore. Qui a Beirut c’è una bellissima vista della città e del mare, quanto sarebbe più bello tutto questo se tu fossi con me….”.Come conciliare sentimenti tanto teneri e pieni d’amore – si chiede l’autore – con gli occhi “pieni d’odio” che descrive l’ambasciatore italiano Francesco Mezzalama, ammesso alla sua presenza insieme ad altri diplomatici? Come conciliare il fine conoscitore della poesia persiana, con l’invito alle madri a denunciare i figli oppositori alle autorità per farli giustiziare e con l’imposizione delle fustigazioni e le amputazioni previste dalla shari’a?Il “viaggio” di Zanconato, supportato da una poderosa bibliografia, parte dal piccolo villaggio dove Khomeini nasce nel 1902 , restando a sei mesi orfano di padre e in pochi anni anche della madre, lo segue nella città santa di Qom, dove studia il Corano e diventa mullah, fino ad arrivare al ’79, quando l’Imam, come si era definito, si autonomina “Guida Suprema” della Repubblica Islamica. Ne emerge il profilo di un “ mistico capace di un’astuzia politica spinta fino al cinismo, un marito e padre di famiglia amorevole, ma anche un ayatollah che da una parte difende il ruolo del clero e dall’altro attacca i mullah ortodossi che, a suo dire, “pensano solo a pregare”. E che verso la fine della sua vita arriva ad affermare la preminenza della difesa dello Stato islamico, quindi la dimensione politica dell’Islam, rispetto ad altri aspetti della religione, come la preghiera, il digiuno del Ramadan e il pellegrinaggio alla Mecca”.
Lo Stato Islamico
Per la prima volta dopo la caduta del Califfato Ottomano, narra l’autore, seguita alla Prima Guerra Mondiale, Khomeini dà vita ad uno Stato islamico, riuscendo dove altri movimenti, come i Fratelli Musulmani, hanno fallito. È così che la sua figura diventa un punto di riferimento per chi nel mondo islamico, sia sciita sia sunnita, sognava una rivincita contro le grandi potenze e le ideologie occidental”. Ma quello di Khomeini non è un semplice ritorno ai fasti islamici del passato, perché in questo processo crea qualcosa di totalmente inedito: una Repubblica Islamica, in cui si suppone che lo Stato debba essere guidato allo stesso tempo dai dettami divini, attraverso il ruolo della Guida Suprema, e dal volere del popolo, attraverso le elezioni.Per realizzare il suo progetto Khomeini non esita a reprimere con la forza ogni forma di dissenso e a ordinare migliaia di esecuzioni. Anche di chi, come i seguaci del partito comunista Toudeh, lo aveva aiutato in un primo tempo a realizzare il processo rivoluzionario.
Cosa rimane oggi in Iran del’eredità di Khomeini?
Andando per le strade di Tehran e vedendo il modo di vita e il comportamento dei giovani iraniani assolutamente interconnesso con quello dei loro coetanei occidentali, notando le ragazze, seppur ancora velate, truccate e vestite alla moda che riempiono le università e i bar dove si servono cappuccini all’italiana , sembrerebbe davvero molto poco. L’impressione è che ci sia stata una nuova rivoluzione dopo quella khomeinista ed è quella dell’ingresso di internet sui telefoni e sui satellitari degli iraniani che, nonostante l’ostilità del regime, i cui dirigenti peraltro utilizzano twitter per comunicare, non consentirà più di tornare indietro a quel passato.
Francesca Cusumano(6 febbraio 2109)
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