Kader è un ragazzo di vent’anni, smilzo, originario della Costa D’Avorio, arrivato in Italia da tre anni, è la prima volta che racconta la sua storia nelle aule dell’Università degli studi di Roma Tre.
A tredici anni leggeva già Marx ed Hegel e il suo attivismo per la parità dei diritti umani nel paese di origine lo porta ad essere minacciato, costretto a dover scappare, ancora minorenne. Si rifugia in Burkina Faso con un amico: da lì si sposterà per finire poi nelle carceri libiche dove, tenuto prigioniero, viene torturato e lasciato steso sotto il sole rovente. Perderà il suo amico. Riuscirà a scappare e approdare, dopo un lungo viaggio in barcone, in Italia, alloggiando per un periodo in uno SPRAR da cui poi però è costretto ad andar via poiché finisce il suo periodo di soggiorno. Oggi è qui, mentre racconta la sua storia si commuove e al tempo stesso sorride, grato alla vita per essere salvo. Ma partiamo dal principio.
Le sue origini
Kader nasce nella cittadina di Man, in Costa d’Avorio, in una famiglia numerosa, vive con i suoi genitori, i dodici fratelli e i nonni. Gli piace studiare, gioca a calcio, ha un’inclinazione per le lingue, impara dodici dialetti africani e cinque lingue internazionali. Durante gli anni della scuola fa a gara con una sua compagna di corso su chi è il più bravo della classe, fino a quando un giorno la sua compagna non rientra dalle vacanze estive. Lui l’aspetta, l’attende anche nei giorni successivi ma l’amica non si presenta così decide di andarla a trovare e scopre, con sua grande sorpresa, che è stata promessa in sposa, contro la sua volontà.
“Ogni cambiamento comincia da sé”
Rosa Parks, Martin Luther King, Nelson Mandela sono tra le figure che hanno ispirato Kader durante il suo attivismo negli anni scolastici e non solo. Organizza raduni studenteschi e scioperi davanti alle sedi istituzionali. Fa sua l’espressione dello scrittore nigeriano Wole Soyinka “ogni cambiamento comincia da sé”. Viene schedato, conosce il carcere. Gli arrivano forti minacce così è costretto a lasciare la sua terra.
La detenzione libica
Con soli quattro litri di acqua su una jeep con l’amico ed altre trentacinque persone, parte per la Libia con un’ammonizione: chi cade non può essere ripreso. E’ tra i fortunati che riescono a scampare alla sete, al viaggio, alla sabbia del deserto che si insinua prepotentemente sul viso e blocca il respiro.
In Libia viene incarcerato, torturato e picchiato, perde le tracce dell’amico. Accanto alla sua cella una ragazza africana viene stuprata e violentata ripetutamente. “L’essere umano si abitua a tutto, anche al dolore”. Fa da interprete ai carcerieri per tradurre agli altri detenuti, un giorno viene ferito da una guardia carceraria, riesce a scappare e riparare in un ghetto per curarsi di nascosto e lavorare, per poter mettere alcuni soldi da parte per andare via di lì e ci riesce.
Il viaggio
Il 22 Ottobre 2016 con centotrentacinque persone sale su un gommone, predisposto per quindici posti: “Si può togliere tutto ad una persona tranne il sogno, la speranza”, racconta Kader. Durante la traversata in mare alcuni compagni si ammalano mas’intravede una luce: li salva una nave dei Medici Senza Frontiere.“Benvenuto” gli dice una ragazza volontaria di cui non scorderà mai quel calore umano a cui non era più abituato.
Cosa fai tu per migliorare il mondo?
Kader non è un migrante economico e neppure uno “straniero” parola che nella sua lingua non esiste, poiché “nessuna persona è strana”, ma è un ragazzo pieno di vita e di ideali. La conoscenza, la cultura sono efficaci ed utili strumenti per combattere senza armi, sono luci che permettono agli uomini di migliorarsi e di migliorare il mondo in cui abitano. Oggi Kader è impegnato in un progetto per la creazione di biblioteche a partire dal suo paese d’origine: la Costa d’Avorio.
Flavia Lucidi
(5 giugno 2019)
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