“Mangiare, è incorporare un territorio”, diceva il geografo francese Jean Brunhes che visse a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento.Questa frase è oggi più vera che mai, e il progetto Hapé Gipsy Food è partito proprio dal cibo per presentare e raccontare la culture e le tradizioni rom a Roma. “L’idea del progetto Romano Hapé, catering di cucina Rom, nasce nel 2009 dalla Romà Onlus con l’idea di promuovere gli aspetti positivi della cultura rom attraverso la riscoperta e la valorizzazione della tradizione culinaria e la volontà di raccontare la diversità culturale attraverso il cibo”, spiega il responsabile legale Graziano Halilovic. “L’idea dalla quale partire non è arrivata facilmente: ci chiedevamo che cosa avevamo di importante o di buono da offrire alla società. Le risposte non venivano fuori. Non arrivava nessuna proposta”.“Quando si è dipinti come brutti e cattivi si inizia a pensare di esserlo davvero”, continua Halilovic, “in Italia, dove l’unico rom veramente apprezzato è Goran Bregovic, era difficile trovare un modo per presentare la nostra cultura. Dopo aver ragionato insieme, abbiamo capito che proprio il cibo è uno degli elementi più consistenti della nostra cultura“.
Cucina rom: simbolo di incontro tra i popoli
La cucina rom ha davvero una lunga storia da raccontare: “nei tempi passati la popolazione rom si è spostata dall’India all’Europa, passando per l’Asia: è una cucina sincretica che si è arricchita di tante diverse tradizioni, ingredienti e modi diversi di cucinare“, spiega Halilovic. “Ogni cibo che noi proponiamo è il risultato di un lungo viaggio e di tradizioni antiche. Alcuni piatti richiedono ore e ore di preparazione, come il bibermeso, uno spezzatino di carne speziata con verdure e panna acida accompagnato dalla lepinka, un pane morbido. Inoltre, per cucinare i nostri piatti utilizziamo ancora antiche pentole di rame. Ai ragazzi rom delle nuove generazioni stiamo trasmettendo questi saperi anche attraverso corsi di formazione”.”I piatti della nostra tradizione sono tanti: c’è la pita, la nostra torta rustica composta da rotoli di pasta sfoglia ripiena di carne, verdure e formaggi; l’agnello e il maialino cotti allo spiedo sulla brace insaporiti con spezie e birra; i cevapcici, polpette di carni miste speziate con salsa ai peperoni rossi; i sarma, ovvero involtini di verza ripieni di riso e carne con carote e sedano; e ancora i nostri dolci tipici, la baklava e il bombize, un impasto di biscotti, farina di cocco, cacao, noci.”Questi piatti sono cucinati dalle comunità rom per ricorrenze, festività e celebrazioni. A differenza dello street food tipico, sono piatti che richiedono tempo e conoscenza dei prodotti. Anche se Halilovic ammetteche qui a Roma la cucina rom si è leggermente “italianizzata”, per incontrare il gusto dei clienti. “Io sono un amante della cucina italiana, sono arrivato in questo paese con la terza migrazione, quella degli anni Sessanta, e sono cresciuto qui. Quindi non ho difficoltà a dichiarare che la pasta è importantissima nella mia vita.”
Dalla tradizione allo street food
Il progetto Hapé Gipsy Food si è trasformato negli ultimi quattro anni in una vera attività imprenditoriale: “organizziamo catering con il nostro cibo accompagnato da un allestimento caratteristico, con i colori vivaci della tradizione, gli abiti fatti a mano, gli utensili in rame e la musica gitana. Oltre al catering per eventi, convegni, banqueting per feste private, consegna pasti a domicilio, abbiamo il nostro furgoncino, che attualmente si trova davanti Bricoman, nella zona di Torre Spaccata, e che è aperto durante la settimana dalle 10 alle 16”.“L’attività di Hapé, unica in Italia, sta crescendo a Roma e il nostro intento sarebbe quello di creare un marchio ed esportarlo in altre città italiane. E poi c’è un altro sogno, quello di aprire un ristorante di cucina romané a Roma. Ma per quello stiamo ancora facendo tanta ricerca: vogliamo creare il giusto allestimento, l’atmosfera più adatta, vogliamo presentarci agli italiani non per come viene immaginata la nostra cultura, ma per come questa è veramente”.
Elisabetta Rossi(18 dicembre 2019)
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