Munedaiko: a Roma il gruppo di tradizionale musica giapponese

Il progetto dei Munedaiko è affascinante. Si tratta di musica giapponese, autentica e accattivante, portata avanti da tre fratelli direttamente in Italia.
Il tipo di musica si chiama Taiko, ed è una pratica millenaria che nei Munedaiko vede la continuazione di una tradizione lunga centinaia di anni. Musica di percussione ma non solo: sono presenti anche strumenti a fiato, i tradizionali shakuhachi e shinobue. Il gruppo è composto dai fratelli Yahiro; Mugen, praticante di Taiko dall’esperienza più che decennale, Naomitsu, istruttore di arti marziali e discepolo del fratello nell’arte musicale e il flautista Tokinari, membro anche degli Ondekoza. 

Chi volesse vederli e ascoltarli, potrà trovarli lunedì 21 settembre alle 20, ai Giardini della Filarmonica di Roma. Si esibiranno in un concerto del loro tradizionale repertorio in occasione del festival AFteR, un evento di musica e tradizione per celebrare la fine dell’estate.

I Munedaiko da vicino

In attesa dell’esibizione, conosciamo il gruppo da vicino: risponde Mugen Yairo, fondatore e leader dei Munedaiko.

Da quale intesa personale è nato il vostro progetto artistico?
Il nostro gruppo è composto da tre fratelli. L’iniziativa di fondarlo è partita da me, quando sono tornato dopo varie esperienze all’estero in Giappone e in Australia, volevo provare a  trovare una direzione di studio e di ricerca attraverso lo scambio, in questo caso con la tradizione giapponese, attraverso il tamburo e non solo, perché usiamo anche altri strumenti non necessariamente giapponesi. 

Avete registrato album o compilation?
Abbiamo registrato un album, ma attualmente c’è solo la versione fisica in CD-Rom, lo streaming è ancora una piazza dove siamo abbastanza inesperti. C’era il progetto di registrare quest’anno il prossimo CD ma, per vari motivi, non  stato possibile.

I Munedaiko in concerto, foto a cura di Laura Marchiori
I Munedaiko in concerto, foto a cura di Laura Marchiori

Ci sono altre realtà di musica giapponese, in Italia, alle quali vorreste avvicinarvi?
Sono rare da trovare, ma sicuramente ci sono gruppi anche italiani che stanno sviluppando un interesse e un approfondimento sia del tamburo, ma anche di vari strumenti come lo shinobue o lo shakuhachi. Sono realtà che si stanno sviluppando poco a poco, in vari territori. Noi cerchiamo di diffondere quest’arte perché possa essere conosciuta e, da chi vuole, anche praticata.

Dove altro possiamo trovarvi, quest’anno, a Roma o in Italia?
Attualmente quasi tutte le date in programma sono state sospese o rimandate, però abbiamo workshop, incontri di prova pratica, sia nel Veneto che a Reggio Emilia e nelle Marche, si può trovare tutto sulla nostra pagina di Facebook

C’è un’influenza particolare nella vostra musica?
Sia io che mio fratello abbiamo studiato, ci siamo allenati e ci siamo esibiti già da  diversi anni. Abbiamo subito diverse influenze non solo prettamente musicali, anche – per esempio – quelle che portano a esprimere e manifestare il proprio essere.  Sicuramente mio padre è stato un’ispirazione importante. Non abbiamo uno specifico genere a cui ispirarci, sicuramente attraverso la tradizione e la cultura giapponese che comunque abbiamo respirato sin dall’infanzia, è stata senz’altro una grossa influenza. 

Siete in contatto con altri aspetti della vostra cultura, oltre alla musica?
Ci interessa l’intenzione con cui ci si approccia a un argomento o qualcosa che  interessa. Ma se vogliamo parlare a livello pratico anche la cucina è un nostro grande interesse, e mi permette di portare alla musica anche l’aspetto della preparazione fisica. Quello che facciamo noi come preparazione può anche essere simile alla condotta di chi esercita una preparazione marziale. Anche le arti marziali stesse: mio fratello è maestro di kung fu Shaolin, un’arte che si è sviluppata in Cina ma che ha influenzato anche il modo in cui lui si esprime con il tamburo.
Quello che io spero con i Muneadaiko è che possano arrivare alle persone, che sia una esibizione ad alto respiro e che, attraverso l’arte, ci sia una possibilità di approccio anche a una conoscenza di sé stessi e a una condivisione con gli altri, che non diventi soltanto un mezzo di spettacolo o di espressione esterna,ma anche un dialogo con la parte più interna di sé. Se c’è questo atteggiamento quando si pratica e si va ad allenarsi, sicuramente si può creare un altro tipo di risonanza.

INFO per i biglietti.

Flaminia Zacchilli
(10 settembre 2020)

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