Sul cibo si gioca il futuro del mondo intero

Abitudini alimentari, crisi climatica, caporalato. Intervista a Fabio Ciconte

Agricoltura industriale e consumo alimentare sono complici della crisi climatica e creano le condizioni per lo sfruttamento del lavoro agricolo e il caporalato. Lo racconta un libro – inchiesta sul mondo del cibo Fragole d’inverno. Ne parliamo con l’autore Fabio Ciconte, direttore dell’associazione Terra! e portavoce della campagna FilieraSporca contro lo sfruttamento del lavoro agricolo.

Allevamento intensivo. Foto da piaxabay
Allevamento intensivo. Foto da piaxabay

 

Quali sono i nessi tra crisi climatica e cibo? E perché oggi il cibo è una questione su cui si gioca il futuro?
“Siamo portati a pensare che le nostre abitudini alimentari siano solo scelte personali, in realtà esse sono indotte dalle scelte politiche e dai mercati. La crisi climatica che stiamo vivendo colpisce in primo luogo l’agricoltura, con raccolti che vanno persi e riduzione dei suoli coltivabili; al contempo la produzione di cibo è complice della crisi climatica. Insieme agli oceani, il suolo è un grande magazzino di sostanza organica e quindi di CO2. Lo sfruttamento intensivo da parte della grande industria e l’uso dei pesticidi derivati dal petrolio depauperano il terreno desertificandolo e ne riducono il potere di assorbimento.
La comunità scientifica, l’IPCC  – l’organismo intergovernativo dell’Onu per la valutazione dei cambiamenti climatici – ci dice che le attività del settore agroalimentare contribuiscono fino al 37% delle emissioni globali, di cui quasi un terzo derivante da spreco alimentare. Ogni cibo sprecato è responsabile dell’8% di emissioni evitabili. Buona parte dello spreco avviene nel passaggio dal frigorifero alla pattumiera: ogni persona spreca circa 700 gr. a settimana tra prodotti scaduti o avariati, avanzi, scarti.”

Caporalato, impoverimento agricolo e industria agroalimentare: facce della stessa medaglia

Il modello della grande industria agroalimentare è complice della crisi climatica, che a sua volta è tra le cause delle migrazioni, ma qual è il nesso tra agricoltura industriale e caporalato?
“Caporalato e agricoltura industriale sono 2 facce della stessa medaglia, cioè del modello estrattivo: estraggo dalla terra quanti più prodotti mi può dare forzando i processi naturali. Questo sistema si basa sul concetto del massimo ribasso: produrre il più possibile per vendere al prezzo più basso e ciò crea le condizioni per generare sfruttamento.
Inoltre, nell’agricoltura italiana c’è l’altro problema del mancato ricambio generazionale e dei grandi possidenti terrieri, entrambi fattori che frenano l’innovazione. Ovunque nel territorio nazionale, dal Piemonte alla Calabria, la produzione agricola è basata sullo sfruttamento dell’elemento più debole, cioè ambiente e lavoratore italiano e immigrato”.

Una cultura ecologica per dare dignità alla terra e al lavoro

Un diverso modello di produzione agricola – ecoagricoltura e sviluppo sostenibile – cambierebbe il mondo del lavoro?
“Ne sono convinto: dare dignità alla terra e a chi la lavora implica necessariamente un cambiamento del modello produttivo e del consumo. Come associazione Terra! stiamo lavorando sui modi in cui l’agricoltura ecologica possa restituire dignità alla terra e ai lavoratori. Questo si può fare se si inverte il modello per cui il prodotto non costa niente. Per esempio, l’estate scorsa abbiamo fatto una campagna contro Eurospin che a Ferragosto vendeva angurie da 1 kg. a 1 centesimo. Questo equivale a dire al consumatore: ‘comprale, tanto valgono poco e anche se poi le butti non ci perdi nulla’.”

Per cambiare il mondo del lavoro e porre fine a caporalato e sfruttamento del lavoratore servono politiche agricole e del lavoro diverse?
“Certamente, se non cambi politiche agricole e del lavoro non cambi nulla. La L. 199/2016 sul caporalato è fondamentale, ma bisogna intervenire di più sul terreno della prevenzione e non solo su quello della repressione, come fatto finora. Per quanto riguarda le politiche europee, come associazione Terra! abbiamo chiesto di ritirare la nuova PAC (Politica Agricola Comune) che a ottobre ha destinato ingenti fondi alla grande industria alimentare.
Un’altra nostra battaglia è quella sulle aste a doppio ribasso che costringono i produttori agricoli a proporre prezzi sempre più bassi con il risultato di abbassare i salari dei lavoratori e/o la qualità delle materie prime.
È altrettanto vero, però, che deve crescere la consapevolezza del cittadino che il cibo costituisce una questione fondamentale, oltre che per la vita quotidiana delle persone, anche per l’economia e per una società migliore. Deve chiedersi, per esempio, perché sul banco del supermercato trova un barattolo di pomodori a 40 centesimi. I processi si costruiscono nella società e le imprese si muovono guardando agli orientamenti della gente, come ha dimostrato la campagna di qualche anno fa sulla nocività per la salute dell’olio di palma: immediatamente i mercati alimentari hanno cambiato prodotti e marketing. (Poi in realtà l’olio di palma è dannoso molto di più per le foreste che per la salute)”.

copertina libro di F. Ciconte
copertina libro di F. Ciconte

Qual è lo scopo principale del suo libro Fragole d’inverno?
“Ho scritto il libro per semplificare il più possibile questioni complesse come il cambiamento climatico, la produzione agricola e i consumi alimentari. È un viaggio d’inchiesta condotto nelle diverse realtà agricole in Italia, ma è anche un ‘viaggio’ nel nostro frigorifero perché lì dentro sono visibili tutti i segni della crisi climatica: consumo cresciuto di carne, insaccati e formaggi; aumento dei prodotti trasformati; spreco immediatamente visibile nella quantità di cose che buttiamo della nostra spesa, oltre alla grande quantità di plastica e di imballaggi. Cambiando le nostre abitudini alimentari possiamo contribuire alla difesa dell’ambiente e a migliorare le relazioni sociali. L’obiettivo, perciò, è quello di contribuire a una battaglia culturale e etica: educare il cittadino a una cultura ecologica e a un cambiamento nelle abitudini alimentari, perché ognuno deve fare la sua parte”.

Luciana Scarcia
18 gennaio 2021

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