La parola, le politiche migratorie e il contrasto ai discorsi d’odio, questo il titolo dell’evento online organizzato da Cubo (Museo d’impresa del gruppo Unipol, nato nel 2013) mercoledì 15 dicembre. Fa parte del ciclo di incontri denominato Il Potere della parola, che terminava proprio con questo terzo dibattito. I precedenti incontri si sono svolti il 13 e il 27 ottobre. Nella La parola, le politiche migratorie e il contrasto ai discorsi d’odio si è cercato di analizzare i termini utilizzati per le politiche migratorie negli ultimi anni. Di capire cioè la logica e la visione che sta dietro l’utilizzo di queste parole.
Protagonisti dell’incontro Giovanna Vaccaro – formatrice nell’ambito dei processi di inclusione della comunicazione interculturale – che ha dialogato con il linguista Federico Faloppa e il giurista Fulvio Vassallo Paleologo.
Clandestino e i Taxi del mare, le parole che non si dovrebbero utilizzare
Incalzato dalla Vaccaro, sul ruolo che svolgono le parole sulle politiche migratorie, Fulvio Vassallo Paleologo, giurista, coordinatore dei discorsi dei fenomeni d’odio e vicepresidente associazione Asif, diritti e frontiere, spiega come l’uso di certe espressioni sia servito a polarizzare il dibattito. “Tali termini alimentano una retorica sull’insicurezza e hanno un esito profondo nella società” . Vassallo cita due parole aberranti che sono entrate, ormai da molti anni, nel lessico comune: Taxi del mare , per indicare le Ong che intervengono nel Mediterraneo e clandestino. Quest’ultima parola principe è ritornata in voga nell’ultimi anni. Ad esempio, continua il giurista, durante la pandemia in molti si sono scagliati contro i clandestini che potevano circolare liberamente, mentre gli italiani erano costretti nelle loro abitazioni. Il termine clandestino non ha alcuna legittimazione. Per confutare ogni dubbio, Vassallo chiarisce che “Nelle leggi si può far uso del termine di irregolare, ma lo status di clandestino non si può riconoscere a nessuna persona”.
Federico Faloppa fa notare che negli ultimi sette anni l’utilizzo della parola clandestino era diminuito. Mentre oggi, sia nei mezzi di informazione che fra la popolazione, questo termine è ritornato con grande assiduità. “é una spia indicativa. Tanto quanto la rapida trasformazione, a cui abbiamo assistito negli ultimi anni, da angeli del mare ai taxi del mare”. Finendo così per criminalizzare il soccorso in mare.
Buone pratiche, esistono anche parole positive che dovremmo usare più spesso
Faloppa cita l’ultimo rapporto dell’associazione Carta di Roma, nel quale si considera come la stampa italiana affronti il tema dell’immigrazione. A fronte di tante espressioni infelici, vi sono anche esempi positivi. Come quello del giornale Avvenire, che quando si riferisce ai protagonisti del fenomeno migratorio, lo fa utilizzando l’espressione “persona”. “Evitando in questo modo la spersonalizzazione” E prosegue: “spesso invece le notizie sui migranti ci vengono presentate a suon di numeri. Soprattutto ponendo l’attenzione sull’aumento del numero di arrivi”.
Secondo Vassallo, per fare un buon uso del linguaggio quando si affronta il tema dei migranti, occorrerebbe riprendere le parole della nostra costituzione o quelle della carta dei diritti dell’Unione europea. Come ad esempio, il termine solidarietà. Oggi “anche questa espressione, sui social puó far scaturire parole d’odio”. Chiosa Vassallo.
Sicurezza ed emergenza, due espressioni distorte dalla politica
Quando si fa riferimento alla sicurezza oggi, spiega Faloppa, si pensa immediatamente all’ordine pubblico rispetto a soggetti stranieri. “La parola sicurezza in passato veniva associata al sicurezza sul lavoro e alla sicurezza sociale, oggi viene associata al decoro. Quante cose sono state fatte in nome della sicurezza, sono stati effettuati sgomberi perché sembrava che si attentava alla sicurezza”. Vassallo sostiene che dovremmo invece tornare a parlare di sicurezza sociale e lavorativa. Della sicurezza sul lavoro dei migranti stessi, di cui non sente parlare quasi mai. Slegare cioè sul piano semantico la parola sicurezza dal fenomeno migratorio.
Un’altra espressione sulla quale si concentra il linguista Faloppa, che viene utilizzata in modo fuorviante, soprattutto dalla politica, è emergenza. “Dura da decenni quindi è un controsenso in sè. Mentre questo termine richiamerebbe a una situazione temporanea e passeggera. Mentre vi sono fenomeni di lunghissima durata che chiamiamo sempre emergenza. Viene utilizzato perché nell’emergenza non si vogliono affrontare problemi sistemici con politiche di lunga durata”. Per questa ragione, secondo il linguista, è stato attaccato il modello Riace. Esso cercava di affrontare l’emergenza in modo non emergenziale, dal basso, con risultati nel medio e lungo periodo.
Marco Marasà
(16dicembre2021)
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