Se a livello europeo è riconosciuto il ruolo degli imprenditori migranti per il rilancio del sistema economico, l’UE non è ancora riuscita a sfruttare il potenziale dell’iniziativa imprenditoriale degli immigrati e dal bacino interno rappresentato da oltre 37,5 milioni di stranieri. Secondo il Rapporto Immigrazione e Imprenditoria 2022 – curato dal Centro Studi e Ricerche IDOS in collaborazione con Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa – gli immigrati affrontano molti ostacoli per poter aprire una loro attività. In particolare, non hanno alcun sostegno, nessun contributo per accrescere le abilità imprenditoriali e migliorare all’interno del mercato italiano ed estero.
La situazione in Italia
In Italia il Rapporto evidenzia che le imprese sono per lo più di piccole dimensioni – se non micro – il 75,5% di tipo individuale, con un aumento delle società di capitale dal 9,6% al 16,9% in dieci anni e la concentrazione settoriale nel commercio e nell’edilizia – rispettivamente 32,9% e 23,5%. Fonte: Centro Studi Idos Il Rapporto suggerisce che l’Italia dovrebbe: – sostenere la strutturazione del sistema delle imprese immigrate; – rimuovere gli ostacoli che ne scoraggiano la nascita e la crescita; – sostenere potenziale di innovazione. Con un aumento dell’1,8% rispetto all’anno precedente alla fine del 2022 sono registrate presso le Camere di Commercio 642.638 imprese “immigrate”, cioè riferibili ad attività indipendenti in cui il titolare, se si tratta di ditte individuali, o la maggioranza dei soci e degli amministratori, nel caso delle forme societarie, è nato fuori dai confini nazionali.
Imprese “immigrate”: politiche ancora inadeguate
Dalle analisi condotte, in quasi dieci anni, dal Rapporto Immigrazione e Imprenditoria emergono alcune indicazioni utili anche per riconsiderare le politiche attuali: – la prima riguarda l’opportunità di sostenere la strutturazione del sistema delle imprese immigrate per sfruttarne la vocazione transnazionale in grado di aprire l’economia italiana ai paesi di origine degli imprenditori; – la seconda indica la necessità di rimuovere gli ostacoli giuridici, burocratici, operativi e socioeconomici che scoraggiano la nascita e la crescita delle imprese straniere in Italia, supportando così la vivace spinta endogena dal basso, invece di cercare una improbabile immigrazione “selezionata” o “qualificata” che elevi la quota di imprenditori stranieri intenzionati ad investire in Italia; – la terza si concentra sul potenziale di innovazione presente nelle imprese immigrate, soprattutto quelle guidate da giovani, richiede il sostegno del sistema produttivo italiano, che invece ha un suo punto debole nella competitività sui mercati internazionali.
Giulia Fuselli (27/03/2023)
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