Iftar: metti una sera a cena con la comunità bangladese

La comunità bangladese di Torpignattara si è ritrovata, il 30 marzo scorso, nel giorno che, per i cattolici, quest’anno ha coinciso con il sabato santo, per consumare in strada e per offrire, a chi avesse voluto approfittarne, un Iftar, il pasto che, dopo il tramonto, interrompe il digiuno nel mese del Ramadan.

L’evento si è svolto nello spiazzo di Largo Bartolomeo Perestrello, già prima del tramonto sono arrivati gli organizzatori, gli uomini della Greater Dhaka Samity, e della Dhuumcatu Onlus, “stella cometa” in bengalese, ed hanno cominciato a stendere in terra dei grandi teli colorati – malgrado alcuni bambini corressero in lungo e in largo inseguendo una palla – per permettere agli ospiti di sedersi e consumare insieme un iftar molto simile a quello che i bangladesi consumano all’interno delle loro abitazioni. L’intento degli organizzatori è, anche per quest’anno, quello di mostrare agli abitanti del quartiere le usanze di un popolo per favorirne l’integrazione anche se, in realtà, basta farsi un giro a piedi per il quartiere per capire quanto la comunità bangladese sia ormai radicata nel tessuto del V Municipio.

La comunità bengalese a Roma: i numeri

Secondo l’ultimo rapporto annuale del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, relativo all’anno 2022, nel Lazio risiede il 27,2% dell’ intera comunità e la città metropolitana di Roma, con oltre 38.000 presenze, può vantare di ospitare la più grande comunità bangladese dell’Unione Europea, pari al 25,2% della comunità bangladese d’Italia. Attualmente, solo nell’area metropolitana di Roma, è presente il 28,2% della comunità in Italia, circa 39.078 persone.
La concentrazione più alta si registra proprio nel quadrante est della capitale, e soprattutto nel quartiere di Tor Pignattara – Marranella, contigua all’area del Pigneto che, per questo motivo, viene spesso definita dal consiglio comunale locale “Banglatown”, nota strada dell’East End londinese, Brick Lane – cuore nel Regno Unito della comunità proveniente dal Bangladesh, oltre che per l’accostamento al noto film del 2019 “Bangla”, scritto, interpretato e diretto da Phaim Bhuiyan.

L’iftar pubblico: gli organizzatori

Il quartiere può vantare dunque la presenza di attività commerciali bengalesi fin dagli anni ’90, che ormai sono diventate un punto di riferimento non solo commerciale, per gli abitanti del posto, oltre che di associazioni storiche come l’associazione Dhuumcatu, anima dell’evento, che aiuta i migranti del Sud Est asiatico e conta circa 40.000 iscritti, intrattiene rapporti con il quartiere da circa 30 anni, spesso in piazza a difesa dei diritti degli stranieri in Italia.
“Questa è la quindicesima edizione di iftar in piazza.” dice Bachu Legal, presidente dell’associazione “ siamo qui  per incentivare l’integrazione del nostro popolo con i cittadini italiani ma anche per parlare di pace, in questo momento così delicato e tragico per i mussulmani, e per promuovere la convivenza inter-religiosa abbiamo invitato anche i rappresentanti di altre fedi. Tutti interverranno per parlare della convivenza sociale e per ricordarci che la religione è un ponte per la fratellanza non uno strumento per dividere gli essere umani”. “Lo scorso anno” continua “eravamo a Largo Preneste, questa sera saranno presenti anche un sacerdote della Parrocchia del quartiere e un bramino del tempio Induista Om Mandir di Torpignattara,  vengono per salutarci e testimoniare la loro vicinanza.” Bachu, è in Italia da quasi 32 anni, ha sempre vissuto a Roma e in particolare nel V Municipio, dove risiede da circa 15 anni.

L’Iftar pubblico: le donne bengalesi raccontano

Sui teli colorati stesi a terra, intanto, vengono intanto disposte lunghe file di piatti pieni di frutta e verdura, mentre, ai bordi, si formano altrettante file di scarpe. “Siamo qui per mangiare tutti insieme e dimostrare che tutti i mussulmani sono fratelli. È un evento che ripetiamo tutti gli anni per aprirci al quartiere, per invitare gli italiani a mangiare con noi” dice Subarna che di lavoro fa la mediatrice interculturale ed è arrivata in piazza con altre due donne. “ Questo è il nostro cibo tradizionale” continua, sistemando sul telo azzurro una fila di contenitori di plastica trasparenti che contengono della frutta sbucciata e della verdura  “non differisce dal menù che si mangia in Bangladesh, per l’iftar, se non per la quantità, lì le porzioni sono più abbondanti perché partecipa molta più gente, quando si fa in strada con gli altri e non in famiglia, è come una festa, tutti sono felici.”
“È un appuntamento che si ripete ormai ogni anno” aggiunge Raahana, che abita al Quarticciolo, per spiegare che ha preparato delle patate in pastella ed altre verdure ma che, in questa occasione, il pasto è preparato principalmente dal ristorante. “ il digiuno lo abbiamo iniziato questa mattina presto. Dopo la preghiera delle 4,30 non mangiamo più fino al tramonto”. “Per noi è un momento gioioso perché vediamo gli amici, anche quelli che normalmente frequentano Moschee diverse dalle nostre, è un momento di condivisione.”
Le donne e i bambini piccoli si riuniscono su di un telo separato dagli uomini e dai ragazzi, posizionati, come dice il Corano, in direzione della Mecca perché, dopo aver consumato il loro iftar, stenderanno i loro tappeti e reciteranno insieme, la Maghreb, la preghiera della sera, guidata dalla Sala Preghiera Masjid-e-Rome.
“Le donne  non possono pregare in pubblico” spiega Nastrin, che viene da Dakka , vive in Italia da una ventina d’anni e indossa un bel sari color arancio, “noi pregheremo quando torniamo a casa” Continuano ad arrivare, molte sono accompagnate dai mariti o da altre donne, hanno nomi orientali e parlottano tra loro, nella loro lingua mentre le figlie più giovani, al seguito delle madri, nate in Italia, si chiamano Sofia o Tania, nomi non troppo differenti da quelli delle loro coetanee italiane. Nea, la figlia di Nastrin, traduce l’italiano alla mamma, che ha difficoltà a capirlo e a parlarlo, ha 13 anni, frequenta la scuola media di Torrenova ed ha un bell’accento romano.

L’Iftar: il menù della serata

Mousumi, la moglie di Bachu, una bella ragazza sorridente ci viene incontro per offrirci l’iftar e spiega “Io ho cucinato un centinaio di frittelle di ceci i ghumni, ceci bolliti con spezie, cipolla, aglio e peperoncino, mentre le altre donne hanno preparato le begoni, melanzane e patate a fette ricoperte di farina di ceci e fritte nell’olio: ma il biriyani, il riso preparato assieme a spezie,  carne, pesce, uova o verdure, questa volta lo ha fatto il catering. Manca il succo di frutta, qui per comodità beviamo acqua e mangiamo poi la frutta.”
“Io preparo tutti i giorni i pasti da mandare in Moschea, per 100 persone. In questo quartiere tutte le manifestazioni pubbliche per favorire l’integrazione con gli italiani ma anche le riunioni tra di noi e i pachistani o gli arabi che vivono qui  le organizza mio marito con la sua associazione.” tiene ad informarci.
È giunta l’ora del tramonto, si aprono finalmente i contenitori con l’iftar quotidiano e i volti dei presenti si atteggiano subito al sorriso. I bambini vengono aiutati dalle madri a consumare il loro iftar, l’atmosfera è festosa e rumorosa. Ciò nonostante pochissimi cittadini si avvicinano per condividere il pasto con la comunità bangladese, a parte le autorità invitate ed i giornalisti presenti. La coincidenza con il periodo pasquale non ha probabilmente aiutato, questa volta, la condivisione dell’evento. Alcuni ragazzi italiani guardano perplessi e non si avvicinano, i loro sguardi fanno pensare che non gradiscano troppo la manifestazione conviviale alla quale assistono. Tornano alla mente gli episodi d’intolleranza nei confronti della comunità che comunque non mancano, nonostante ci siano ottimi rapporti anche con l’amministrazione comunale.
“ Sono venuto in rappresentanza del presidente del V Municipio, dice infatti il funzionario presente che indossa la fascia tricolore, “con la comunità bangladese abbiamo un ottimo rapporto, loro vengono spesso a trovarci, li incontriamo spesso. Cerchiamo di andare sempre incontro alle loro richieste perché le loro iniziative vanno nella direzione della volontà di integrazione e l’integrazione è necessaria per combattere i sentimenti divisivi e un po’ razzisti che contraddistinguono il periodo che stiamo vivendo.”

L’iftar pubblico: la preghiera

Si fa improvvisamente silenzio, gli uomini si inginocchiano sui loro tappeti e la voce dell’Imam catalizza l’attenzione dei presenti, persino i bambini tacciono. Pur se non si comprendono le parole è difficile rimanere insensibili alla suggestione che diffondono ed al sentimento religioso che trapela dai volti dei fedeli.

 

testo di Nadia Luminati
foto di Alessandro Guarino
(2 Aprile 2024)

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