Dare dignità ai migranti morti: conoscere le loro storie

Per non perdere il senso d'umanità

Quanti migranti muoiono nei viaggi verso un destino migliore? A quanti corpi si riesce a dare un nome e quindi dignità? Quante famiglie conoscono la sorte dei loro congiunti?

Migranti morti in un naufragio nel Mediterraneo, al largo del Libia. Fonte Il faro di Roma
Migranti morti in un naufragio nel Mediterraneo, al largo del Libia. Fonte Il faro di Roma

Dare dignità ai morti contro indifferenza e oblio

Nel 2014 l’OIM, Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, ha avviato un’iniziativa per documentare i decessi e le sparizioni nei viaggi migratori: il Missing Migrants Project . Nel sito dell’organizzazione si legge che i dati resi noti sono sottostimati, a causa della difficoltà della raccolta, e che più di due terzi degli scomparsi non vengono identificati; si avverte inoltre: “Ogni numero rappresenta una persona, una famiglia e la comunità che si lascia alle spalle”. I dati raccolti testimoniano “uno dei più clamorosi fallimenti politici dei nostri tempi. L’OIM chiede l’immediata messa a disposizione di percorsi migratori sicuri, umani e legali”.
Per quanto riguarda il Mediterraneo, secondo il cruscotto del Missing Migrants Project, le persone scomparse in mare accertate dal 2014 sono 31.287, cifra sottostimata.
Nel 2024, secondo Eunews, i morti nel Mediterraneo sono stati 2.279, tra cui 112 bambini.

Poter dare un nome per conoscere e non perdere il senso d’umanità

Conoscere nomi, legami, storie di queste persone significa restituire loro umanità. Conoscere le enormi difficoltà, non solo burocratiche, che le normative europee creano negli ultimi anni all’accoglienza e integrazione significa sapere chi siamo noi.
Una piccola casa editrice di Torino, ADD, ha da poco pubblicato un prezioso libretto: Sospesa. Una vita nella trappola dell’Europa, con due autrici: Mariangela Paone, reporter specializzata in informazione internazionale, e Rezwana Sekandari, una ragazza afghana che fugge con la famiglia da Kabul, perde tutti i suoi familiari nel naufragio del 2015. Lei viene salvata dall’arpione di un pescatore e arriva in Grecia da sola. Ha 13 anni. Viene mandata prima in Svezia da una prozia, dove inizia un percorso di integrazione, ma a 18 anni viene rispedita in Grecia, paese di primo approdo (come vuole l’accordo di Schengen),  ospite di 3 famiglie.

A ricostruirne la storia è la giornalista Paone, colpita dalla determinazione della ragazza nel voler sapere dove sono i corpi dei suoi cari e se qualcuno sia sopravvissuto, e la guida nella ricerca. Unite da un umanissimo sentimento cercano e utilizzano tutti i canali: attivisti, rifugiati, avvocati per arrivare alla verità. Dopo 7 anni, nel 2022 arriva la notizia che madre, sorella e fratello sono sepolti a Lesbo. Quindi Rezwana parte per l’isola accompagnata dalla giornalista. Quando arrivano davanti ai piccoli quadrati di marmo nella terra, Rezwana chiede di rimanere sola e piange: “Perché? Perché io sono viva e loro no? Perché dovevano morire in questo modo? Perché sono dovuti rimanere qui?”
Del padre e della sorella più piccola non ha saputo più niente.
Il tema delle migrazioni è forse quello su cui più si misura il passaggio d’epoca in cui stiamo vivendo: dall’Europa caposaldo dei diritti umani, delle frontiere aperte, della cooperazione, siamo passati alla difesa dei confini chiusi, all’esternalizzazione con le ingenti spese che essa comporta e a normative erosive del diritto d’asilo. E tutto questo al prezzo della omissione del senso d’umanità.

Luciana Scarcia
(9febbraio 2025)

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