Il 1° maggio è sempre un’occasione per i lavoratori per riaffermare i propri diritti, acquisiti anche attraverso anni di lotte per migliorare la propria condizione. A un anno dalla Festa dei Lavoratori celebrata nel 2024 analizziamo se sia verificata un’evoluzione dal punto di vista sociale e legislativo oppure un’involuzione, anche in vista dei referendum che si svolgeranno l’8 e 9 giugno con i quali si intende modificare alcuni punti della normativa vigente sul lavoro.
Mercato del lavoro: cosa è cambiato e cosa cambierà
Secondo le rilevazioni effettuate dall’Istat in merito all’anno 2024, il numero di occupati è rimasto sostanzialmente stabile rispetto all’anno precedente, aumentando dell’1,5%, mentre è calato il numero di disoccupati del 14,6%. È salito invece il numero degli inattivi dai 15-64 anni dello 0,5%. La stessa dinamica si riscontra nel tasso di occupazione che è rimasto stabile a 62,2%, il tasso di disoccupazione che è sceso a 6,5% e quello di inattività che è salito a 33,4%.
Operando un confronto con i dati provvisori del 2025, si evidenza un rallentamento della crescita del numero di occupati, mentre è proseguito il calo del numero di disoccupati, così come non si è fermata la crescita degli inattivi tra i 15 e i 64 anni.
Si è riscontrata, tuttavia, una tendenza positiva, ossia l’aumento dei contratti a tempo indeterminato e la diminuzione dei contratti a termine. Questi ultimi rientrano fra i temi protagonisti del prossimo referendum: al di là dei primi due quesiti che chiedono di abrogare la disciplina più recente sui licenziamenti, il terzo quesito punta invece all’eliminazione di alcune norme sull’utilizzo dei contratti a termine per ridurre il lavoro precario.
In Italia, infatti, circa due milioni e trecentomila persone hanno contratti a tempo determinato, i quali possono essere instaurati fino a dodici mesi senza alcuna ragione oggettiva che giustifichi il lavoro temporaneo. Per questo motivo il quesito referendario dell’8 e 9 giugno recita: “Volete voi l’abrogazione dell’articolo 19 del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 […] comma 1, limitatamente alle parole “Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque non superiore a dodici mesi“.
L’obiettivo è quello di ripristinare l’obbligo di causali per il ricorso ai contratti a tempo determinato. Il precariato rimane un problema molto diffuso in Italia, una vera e propria piaga che rende difficile la ricerca di stabilità nel lavoro. La possibilità di spingere le aziende a mantenere questa tendenza positiva significherebbe favorire una sicurezza occupazionale che, oggi, per molti non è affatto garantita. Tuttavia, secondo gli ultimi dati forniti da Eurostat, il rischio di povertà in Italia è salito anche tra le persone che lavorano a tempo pieno: nel 2024, infatti, gli occupati con un reddito inferiore al 60% di quello mediano nazionale sono il 9%. Stessa situazione si ritrovano a vivere i lavoratori di almeno 18 anni occupati per almeno la metà dell’anno: il 10,2% di loro è a rischio povertà. Nel complesso, cinque milioni di italiani hanno difficoltà sulle spese minime, subendo così una deprivazione materiale che nemmeno la disponibilità di un lavoro full-time riesce a sopperire.
Anche il Presidente Sergio Mattarella, in visita a Latina, in vista della Festa del Lavoro del Primo Maggio ha denunciato “aspetti di preoccupazione sui livelli salariali come segnalano i dati statistici e anche l’ultimo rapporto mondiale 24-25 della Organizzazione internazionale del lavoro”, nel documento si nota che “l’Italia si distingue per una dinamica salariale negativa nel lungo periodo con salari reali inferiori a quelli al 2008 nonostante la venuta ripresa a partire dal 2024”.
La sicurezza sul lavoro: criticità e possibili soluzioni
Il Rapporto annuale dell’attività di vigilanza in materia di lavoro, pubblicato nel 2024 dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro, riporta le conclusioni tratte in seguito a 129.188 ispezioni effettuate nel corso dell’anno, durante le quali è stato individuato un numero considerevole di aziende non in regola con la normativa vigente. Sono stati accertati, infatti, 80.245 illeciti, con un tasso di irregolarità del 74%. Nel corso del 2024 sono aumentati i lavoratori che hanno commesso delle violazioni, pari a 120.442, circa il 15% in più dell’anno precedente. Sono state accertate 83.330 violazioni in materia di salute e sicurezza, il 127% in più rispetto al 2023.
Quest’ultimo dato rimarca il fatto che la sicurezza sul lavoro rappresenti in Italia un problema serio, oggi più che mai al centro del dibattito in seguito all’aumento vertiginoso del numero degli incidenti che coinvolgono lavoratori anche di età più giovane.
Il quarto quesito del referendum dell’8 e 9 giugno che recita: “Volete voi l’abrogazione dell’art. 26, comma 4, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 […] limitatamente alle parole “Le disposizioni del presente comma non si applicano ai danni conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici“, intende affrontare questa questione in quanto i decessi registrati arrivano ormai fino a mille all’anno e ciò significa che ogni giorno tre lavoratori o lavoratrici muoiono sul luogo di lavoro. La soluzione proposta è quella di abrogare alcune norme che limitano la responsabilità delle aziende in materia di prevenzione degli infortuni, in modo da garantire maggiore sicurezza sul lavoro. Il fatto di estendere la responsabilità all’imprenditore avrebbe come naturale conseguenza quella di esortare quest’ultimo a mettere in atto le misure necessarie per proteggere la salute dei suoi lavoratori.
Irregolarità e vulnerabilità: un quadro in evoluzione
Fra i dati di maggior rilievo del Rapporto sopra menzionato, spiccano quelli relativi al lavoro in nero: sono stati segnalati 19.008 lavoratori, di cui 1.368 sprovvisti di regolare permesso di soggiorno, mentre le vittime di caporalato hanno registrato un numero di 1.226 lavoratori. Il lavoro irregolare e lo sfruttamento lavorativo, soprattutto in settori come l’agricoltura e l’edilizia, sono fenomeni ancora irrisolti in Italia, che coinvolgono principalmente lavoratori immigrati extracomunitari. Il settore agricolo ha il 40,8% di lavoratori stranieri impiegati al suo interno, secondo il XIV Rapporto annuale 2024 su “Gli stranieri nel mondo del lavoro in Italia“. L’agricoltura registra allo stesso tempo il tasso più elevato di irregolarità ed è caratterizzato dal forme più o meno gravi di sfruttamento, con lavoratori agricoli privi di copertura previdenziale e assicurativa e di qualsiasi altra forma di tutela. Gli immigrati extracomunitari senza permesso di soggiorno sono inoltre particolarmente esposti al capolarato e finiscono per accettare anche le condizioni più degradanti pur di lavorare.
Allo scopo di garantire maggiori tutele, il parlamento ha approvato lo scorso dicembre la nuova legge di bilancio, che ha introdotto per il 2025 alcune novità in materia di lavoro. Tra queste ci sono gli incentivi per la creazione di posti di lavoro stabili, con particolare attenzione ai soggetti vulnerabili che comprendono:
- disabili;
- giovani under 30;
- mamme con almeno due figli;
- donne vittime di violenza.
Per il triennio 2025-2027 è stata confermata l’esenzione fiscale per i fringe benefit ed è stata incrementata, in via permanente, la dotazione del Fondo per la distribuzione di derrate alimentari alle persone indigenti.
In conclusione, nell’arco di un anno la situazione dei diritti dei lavoratori non si è evoluta in maniera del tutto soddisfacente: le tutele si scontrano con la realtà di un mercato del lavoro che presenta tutt’ora molte criticità. Per garantire a tutti i lavoratori condizioni di lavoro più sicure e dignitose è necessario maggiore impegno da parte del governo, dei sindacati e dei cittadini. Questi ultimi potranno decidere se essere promotori di un cambiamento partecipando attivamente ai referendum che si terranno l’8 e 9 giugno, aperti anche agli elettori fuori sede che faranno domanda di votare, entro il 4 maggio, dove hanno il domicilio.
Alessandro Masseroni
(30 aprile 2025)
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