Francesco. Il Papa degli ultimi, degli emarginati, dei diversi

La voce scomoda a sostegno dei migranti e dei rifugiati contro le politiche dell'indifferenza e la chiusura delle frontiere

È morto Francesco, il Papa gesuita controcorrente, scomodo, capace di parlare a tutti con la semplicità che veniva da una saggezza pratica, nata dall’ascolto, dal rapporto orizzontale e non distante con chi aveva di fronte, un’umanità fatta di semplicità e leggerezza ma anche di parole pronunciate con fermezza, convinzione e coraggio. Poco diplomatiche, a volte, ma sempre aperte a promuovere il dialogo. Con tutti.
Pepe Mujica, ex Presidente dell’Uruguay, ha scritto sulla sua pagina Facebook, che “Francesco non visse come un uomo neutrale, ma come un uomo religioso impegnato con il suo modo di pensare e di sentire”, e se tantissimi lo hanno amato e per questo stimato, altrettanti lo hanno considerato scomodo e destabilizzante.
I dodici anni del suo pontificato sono stati all’insegna di una parola, misericordia, lo sguardo e l’azione rivolti agli ultimi, ai più poveri e dimenticati, ai periferici, agli stigmatizzati, ai profughi e ai rifugiati. Denuncia appassionata rivolta alla cultura dello scarto, voce infaticabile contro l’indifferenza.
In un momento storico in cui si ergono muri invece di costruire ponti e si chiudono le frontiere invece di accogliere, mentre si parla di riarmo invece che di pace e si promuove il profitto invece della sostenibilità, le sue parole sono state spesso l’unica voce contraria, ferma e coraggiosa, così poco dogmatica da risultare quasi laica.
Come lo sono state la posizione e le parole che ha sempre rivolto ai migranti e alle politiche di non accoglienza dei Governi e della società civile, con le quali ha ribaltato la prospettiva che vuole identificare il migrante come un peso, un costo ed una minaccia per considerarli invece “doni”, ponti in grado di unire popoli lontani e rendere possibile l’incontro con chi è diverso, per cultura e religione.
La piccola pubblicazione del Centro Astalli dal titolo “Una nuova rotta di umanità”, in cui sono stati raccolti i discorsi che in dieci anni Papa Francesco ha pronunciato a sostegno dei rifugiati del Centro, offre allora l’occasione per ricordare, attraverso le sue parole, quale fosse il suo pensiero e la sua posizione, non solo religiosa ma anche politica, rispetto alle migrazioni, ai profughi e ai migranti.

Francesco sui migranti

Francesco ripete costantemente quanto sia necessario restituire ai profughi dignità umana, a non dimenticare mai che è “a causa dell’oppressione, della guerra, di una natura sfigurata dall’inquinamento e dalla desertificazione, o dall’ingiusta distribuzione delle risorse del pianeta” che sono fuggiti, “da condizioni di vita assimilabili a quelle della schiavitù, dove alla base c’è una concezione della persona umana deprivata della propria dignità e trattata come un oggetto”. Profughi che conoscono “quanto può essere terribile e spregevole la guerra” o vivere senza libertà o diritti, ma che si scontrano “con un deserto di umanità e con un’indifferenza che si è fatta globale”.
Il Papa denuncia come la storia degli ultimi decenni abbia “dato segni di un ritorno al passato” con i conflitti che si riaccendono in diverse parti del mondo, dove “i nazionalismi e i populismi si riaffacciano a diverse latitudini e la costruzione di muri e il ritorno dei migranti in luoghi non sicuri appaiono come l’unica soluzione di cui i Governi siano capaci per gestire la mobilità umana”, mentre ogni rifugiato “porta una storia di vita che parla di drammi, di guerre, di conflitti, spesso legati alle politiche internazionali”.
Diventa allora necessario “far conoscere e sensibilizzare l’opinione pubblica sulla realtà dei rifugiati e degli sfollati e promuovere la cultura della vicinanza e dell’incontro tramite la difesa determinata dei diritti” per un mondo più giusto in cui dignità e diritti siano veramente di tutti”.
Per promuovere una società cui sia possibile “vivere insieme come popolo libero perché solidale, che sa riscoprire la dimensione comunitaria della libertà, come popolo unito, non uniforme, variegato nella ricchezza delle differenti culture”. Perché il diverso fa paura e le società si chiudono nell’indifferenza perché “temono il cambiamento di vita e di mentalità che la vostra presenza richiede”, perché la fragilità e la semplicità dei migranti “smascherano i nostri egoismi, le nostre false sicurezze, le nostre pretese di auto sufficienza”. Perché la loro esperienza di dolore e di speranza “ci ricorda che siamo tutti stranieri e pellegrini su questa terra”.
I rifugiati “conoscono le vie che portano alla pace perché conoscono l’odore acre della guerra”.
E poi ammonisce come la sola carità, l’asilo e la risoluzione delle necessità materiali ed immediate non siano sufficienti se non si accompagnano all’azione, ognuno deve essere in grado di camminare sulle proprie gambe, di lavorare e di integrarsi, di mettere a frutto talenti e capacità, bisogna rispettare e restituire anche la dignità umana ferita, e ricordarsi quanto sia ricco e bello l’incontro, senza avere paura delle differenze. “Camminare insieme fa meno paura”.
Il filosofo e teologo Vito Mancuso, in un recente articolo, ha definito l’apostolato di Francesco teo-patico piuttosto che teo-logico, proprio perché basato sull’empatia, capace di risuonare emotivamente con un altro essere umano, e di viverne la passione con passione.

Natascia Accatino
(26 aprile 2026)

 

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