L’esperienza di una volontaria con i bambini di origine straniera

Un giorno, tornando a casa dal lavoro, ho visto sull’autobus una mamma africana che
parlava dolcemente alla sua bimbetta di circa tre anni in un italiano stentatissimo: è
stata un’illuminazione! Ho pensato: “Io posso aiutare queste mamme, ma come si fa?”.
Ho cominciato a prendere informazioni in rete e si è aperto un mondo che non conoscevo
per niente: quello del volontariato.
Ci ho messo un po’ ad orientarmi e alla fine ho deciso di inviare il mio C.V. all’Associazione Piuculture che sembrava fare al caso mio. In realtà non si trattava di insegnare agli adulti, ma a dei bambini. Confesso che all’inizio ero un po’ spaventata: io non sono un’insegnante, anche se con il mio lavoro mi sono sempre occupata di formazione.

Volontaria nella scuola per l’Italiano L2

La mia esperienza è cominciata un po’ per caso, due anni fa come volontaria con
Piuculture per l’insegnamento di Italiano L2 nella scuola primaria G. Garibaldi di Via
Mondovì, a Roma.
Era tempo che sentivo forte dentro di me l’esigenza di fare qualcosa per gli altri, ma non avevo chiaro cosa fare e soprattutto in che modo.
Ero molto preoccupata perché mi rendevo conto che l’opportunità che viene data ai
bambini della scuola primaria di partecipare a dei laboratori di italiano L2 è fondamentale e non può essere sprecata. Infatti, solo con un supporto tempestivo il bambino di origine straniera – che spesso non ha altra possibilità oltre alla scuola di praticare la lingua italiana – può sperare di mettersi al passo con gli altri ed integrarsi nel suo nuovo paese.
Sono arrivata alla prima lezione con una buona dose d’ansia. Come ero abituata a fare in
aula durante i miei corsi di formazione, avevo preparato tutto: avevo ripassato la grammatica, letto tutti i testi e il materiale fornito dall’Associazione.
Avevo preparato dei brevi racconti, delle schede per far lavorare i bambini e perfino un
argomento di conversazione di riserva, non si sa mai.
Poi sono entrata in classe e quando le bambine, il primo anno avevo solo sei femmine, mi
hanno chiamato “maestra”, mi sono commossa. Ma davvero ero io la loro maestra mi sono chiesta.

Insegnare Italiano L2: il rapporto con i bambini

A dire il vero, all’inizio le bambine erano un po’ diffidenti, faticavano ad aprirsi. C’è voluto
un po’ per conoscerci.
Forse anche loro percepivano le mie ansie, le mie incertezze e la mia difficoltà ad
esercitare una certa autorità. Mi dicevano: “Maestra, tu non sembri una maestra, sembri
un’amica”. Io un po’ ero contenta per questo, ma un po’ mi dicevo: “Ma come?”
Con il tempo le cose sono migliorate, ho acquisito più esperienza e, piano piano,
ho imparato a leggere dentro a quei bambini e a capire quali fossero i loro bisogni, non solo dal punto di vista didattico, ma soprattutto per l’attenzione che chiedevano.

Italiano L2: da sei a diciotto bambini

Quest’anno – per problemi organizzativi – mi sono ritrovata unica volontaria disponibile per la mia scuola con diciotto bambini, l’anno scorso eravamo tre volontarie. Dopo il panico iniziale ho deciso che non volevo lasciare indietro nessuno e che potevo provare a seguirli tutti.
Devo dire la verità è stato un anno molto impegnativo: ho lavorato a scuola per tre
mezze giornate alla settimana e a casa almeno altrettanto per preparare il materiale.
Insieme alla referente della scuola abbiamo formato quattro gruppi di bambini, che vanno
dalla seconda alla quinta elementare. All’interno di ciascun gruppo, a volte si è reso necessario differenziare il lavoro, perché non sempre il livello di conoscenza dell’italiano era
omogeneo.
Insomma, una bella fatica. Devo dire, però, che alla fine dell’anno, tirando le somme, il
bilancio è assolutamente positivo: le soddisfazioni che si hanno vedendo il miglioramento di questi bambini ripagano abbondantemente qualsiasi sforzo. Tuttavia, la gioia più grande che ho avuto da questo lavoro è stata sentirmi dire da quasi tutti i bambini: “Maestra, ma tu l’anno prossimo ci sei, vero?”. Come non commuoversi?

Rina Casali
(27maggio2025)

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