Il pianista di Yarmouk: Aeham Ahmad ad Ottobre Alessandrino

L’artista palestinese e il suo pianoforte alla Casa di Quartiere, dove la bandiera della Palestina non è stata messa ieri

Tutti lo conoscono come Il pianista di Yarmouk da quando il video, in cui suonava con una t-shirt verde sulle macerie della guerra nel campo profughi palestinese vicino a Damasco, ha fatto il giro del web. Suonava per sopravvivere alla morte che aveva attorno. Suonava per i bambini che dovevano continuare a giocare. Suonava perché la musica era ciò che gli rimaneva, oltre alla famiglia, agli amici, alla dignità.
Da quel video sono passati più di dieci anni, ed è cambiato tutto.
Dopo che l’Isis gli ha bruciato il pianoforte, Ahaem Ahmad ha lasciato la Siria, ma come profugo palestinese senza passaporto il visto per una rotta legale equivale ad un miraggio nel deserto. E allora l’ingresso illegale in Turchia, il mare fino in Grecia, la rotta balcanica tra i boschi ed infine la Germania, dove lo status di rifugiato politico gli permette di ricongiungersi con la moglie e i due figli piccoli.
Ora vive dei suoi concerti, dei diritti sul libro che ha pubblicato e che racconta la sua storia, ha comprato casa a Warburg, gli è nata una bimba ed è riuscito a portare in Germania i genitori, dopo che il fratello minore è stato ucciso.
È rimasto lui a pensare a tutti: alla famiglia ancora in Siria, a quella in Palestina, alla famiglia della moglie, alla sua. Per sostenere tutti suona più di trecento giorni l’anno, quasi un concerto al giorno in giro per il mondo, e mai in business class. Una vita eccitante per chi sa che non potrà mai partire e guarda i suoi video sul web, una vita difficile per lui, lontano da casa e con una grande responsabilità sulle spalle.
Ha solo trentasette anni Aheam, ma dentro è un vecchio di ottant’anni, ha detto, continuando a sorridere. Un sorriso malinconico e semplice, di chi non ha interesse a mostrarsi diverso perché ha ancora in corpo ciò che ha vissuto.
Il rumore di una granata, il sibilo che si avvicina e che poi detona in un boato, le schegge impazzite che si conficcano nella pelle. Il dolore passa dalla sua voce mentre suona e si libera intorno. Le corde del pianoforte diventano cupe mentre le percuote, la paura diventa suono, o viceversa. Le sue dita, raggiunte dalle schegge, dovevano essere amputate. Prima di suonare deve immergere le mani in acqua bollente, un miracolo che possa ancora suonare dicono i medici che vedono le radiografie dei suoi nervi.
È un attimo che lo scenario possa cambiare, chi è nato nel privilegio dimentica che ci sono persone che hanno conosciuto la pace prima della guerra e che ciò che accade fuori dai nostri confini potrebbe tornare ad accadere qui se i diritti che diamo per scontati non vengono vigilati e protetti.

 

Aheam si è seduto al pianoforte e si è donato. Le note, la sua voce, le parole lette dal suo libro, si sono mescolate al canto del pubblico, agli applausi e ai silenzi e la potenza di ciò che è stato si può leggere anche nel saluto imbarazzato di una donna velata che prende il microfono tra le risate delle figlie, che assistono a qualcosa di insolito: la madre che parla di fronte ad una platea. Ma creare comunità è anche questo: si genera libertà. E i confini, tutti, si frantumano.

Natascia Kelly Accatino
Foto: Manuela Dedomenici
(17 ottobre 2025)

 

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