La residenza legale blocca la cittadinanza per i figli d’immigrati

“Il riconoscimento della cittadinanza italiana alle seconde generazioni – ai sensi dell’art.4, comma 2, legge 91/92 – è spesso pregiudicato da un’errata interpretazione del requisito della residenza legale. La normativa considera “legalmente residente” solo chi, oltre ad essere in regola con le norme sull’autorizzazione al soggiorno, risulti anche iscritto all’anagrafe comunale. La nozione di residenza legale dovrebbe invece essere intesa come presenza effettiva in Italia, dimostrata dall’interessato, unitamente alla regolarità del soggiorno”, questo è solo uno dei problemi sollevati da Paolo Morozzo della Rocca, ordinario di diritto privato presso l’Università di Urbino, condirettore della rivista di studi giuridici “Gli stranieri”, durante il convegno “Acquisto della cittadinanza italiana per i figli di cittadini stranieri nati in Italia” lo scorso 16 aprile. Obbiettivo del dibattito, oltre alla sensibilizzazione della società civile sul problema, è stato quello di conoscere meglio le regole con le quali si gestiscono le richieste di cittadinanza. Sono state date informazioni e approfondimenti utili per una persona che si presenta agli uffici dello stato civile, se incontra delle difficoltà può fare riferimento alla rete di associazioni che ha organizzato l’evento.

“La legge del 1992 non è più aderente alla realtà sociale. Per assurdo, il fatto di essere nati, cresciuti, aver frequentato le scuole qui potrebbe non essere sufficiente perché lo stato italiano possa riconoscere ai minori la cittadinanza italiana”, sostiene Emanuele Giudice, avvocato dell’ associazione “Alexandra”. E’ stato chiesto un miglioramento della legge per fornire un percorso facilitato ai giovani per ottenere la cittadinanza attraverso la semplificazione della nozione di residenza legale. “La legge dice che il minore deve dimostrare di aver soggiornato ininterrottamente in Italia dalla nascita al compimento del 18-mo anno. Poi c’è una interpretazione ministeriale del concetto di residenza legale, dove è necessaria anche una iscrizione anagrafica di almeno uno dei genitori all’atto della nascita del minore e questo blocca spesso il procedimento”. Per esempio: il minore è nato in Italia, i genitori erano alla nascita entrambi regolarmente soggiornanti, ma non avevano l’iscrizione anagrafica perché impossibilitati, per vari motivi, a registrare il contratto d’affitto. Oggi questo fattore rende impossibile l’acquisizione della cittadinanza italiana e nonostante importanti sentenze giurisprudenziali, il problema purtroppo non si risolve.

Meno del 50% dei giovani nati in Italia acquisisce la cittadinanza italiana compiuto il 18-mo anno d’età. Il 50% non la riceve per la mancata conoscenza di un’opportunità, gli altri, per degli oneri burocratici che l’amministrazione pone a carico di chi sceglie di diventare cittadino italiano. Un’altra situazione che blocca l’ottenimento della cittadinanza è il percorso scolastico compiuto non interamente in Italia. Diversi genitori stranieri decidono di far frequentare ai figli per breve tempo la scuola nel paese d’origine per non perdere il legame con la tradizione e la lingua madre. Quel periodo, positivo per lo sviluppo del bambino, pesa sui requisiti che non corrispondono più alle normative. È emerso che alcuni genitori iscrivono i piccoli a scuola per avere delle agevolazioni e poi di fatto non gli fanno continuare gli studi. Mentre alcuni partecipanti al convegno erano contrari al requisito del percorso scolastico interamente in Italia, la maggior parte ha sostenuto la proposta dell’obbligo della frequenza scolastica dei figli di stranieri per una buona preparazione ed integrazione, visto che saranno il futuro del nostro paese.

Da concessione a dono, la cittadinanza come attenzione all’altro, questa è la visione di Mons. Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes. “La riforma della legge della cittadinanza è un tema centrale, non solo per la tutela dei diritti dei migranti, ma anche in riferimento alla costruzione di una società che sia in grado di accogliere e integrare i cinque milioni di persone provenienti da 198 paesi del mondo con 140 lingue diverse. Avere ancora una legge della cittadinanza ferma al 1992, quando la consistenza stessa degli immigrati era 10 volte inferiore – oggi ci sono oltre 650 000 minori nati in Italia -significa non avere consapevolezza politica del problema. L’intervento intende rileggere il tema della cittadinanza non come concessione e neppure semplicemente come diritto, ma come dono per ripensare la città e in essa i luoghi della nostra vita: famiglia, scuola, associazionismo, politica”.

Impossibile fare domanda di cittadinanza alla prefettura. Per capire la difficoltà di prendere appuntamento in prefettura, segnalata da tante persone straniere, Morozzo della Rocca ha provato personalmente 6-7 volte l’iter, ma non vi è riuscito, perché il sistema diceva di riprovare, dando sempre esito negativo. “L’amministrazione ha un obbligo procedimentale che decorre dal giorno della domanda. Se la prenotazione on-line serve per facilitare la richiesta è una buona cosa, se non funziona diventa un ostacolo e quindi è un comportamento sleale nei confronti dei futuri cittadini. Un procedimento amministrativo non dovrebbe cominciare con la prenotazione, ma con la domanda. Ed è illegittimo introdurre un inizio lento e difficile”.

Raisa Ambros
(23 aprile 2013)

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