Nur parte da "l'emergenza nord Africa"

165845_458379547543519_635863157_nNur Abdurahman è una delle circa 13 mila persone coinvolte nel piano della cosiddetta “emergenza nord Africa”, ufficialmente terminata il 1 marzo con la fuoriuscita forzata dei richiedenti asilo dai centri di accoglienza e la consegna dei 500 euro di bonus per ciascuno. Somalo, di 24 anni, con una moglie lasciata nel paese africano che solo da pochi mesi, dopo 20 anni di guerra civile, ha instaurato un governo che sembra poter essere in grado di avviare il processo di normalizzazione, anche se i focolai estremisti di Al Qaeda non sono stati del tutto sconfitti.

Nur a Mogadiscio ha lavorato in radio, nel frattempo studiava giornalismo all’università. La città era sostanzialmente divisa in due parti, una delle quali controllata dagli integralisti islamici Al-Shabaab. Nel 2010 l’offerta di lavoro per loro conto, rispedita al mittente, “altrimenti avrei dovuto sottostare alle loro regole, senza libertà”, spiega Nur. Ma il rifiuto non è stato gradito, da lì le minacce di morte che lo hanno costretto a lasciare la propria terra.

Nell’agosto 2011 l’arrivo in Italia, dopo due mesi a Civitavecchia il trasferimento nel c.a.r.a. – centro accoglienza richiedenti asilo – di via Aristide Staderini, appena dopo l’incrocio tra la Prenestina e viale Palmiro Togliatti. A febbraio 2012 il colloquio con la commissione esaminatrice del suo caso, ad aprile il riconoscimento dello status di rifugiato, quindi cinque mesi dopo il rilascio dei documenti. “È abbastanza frequente che il percorso vada bene per i somali”, racconta Nur, sui quindici connazionali ascoltati insieme a lui “dieci hanno avuto parere positivo”.

Da poco ha lasciato il centro, avendo trovato casa con altri amici compatrioti in zona Anagnina, e ricevuto i cinquecento euro di buonuscita, “la questura non mi ha dato l’alternativa di rifiutarli”, ipotesi che avrebbe lasciato aperto lo spiraglio di reinserirsi nelle liste d’attesa delle strutture di accoglienza. “Ad ogni modo è meglio stare fuori che nel centro, purché non in mezzo alla strada, ovviamente”. Ma senza l’appoggio giusto sarebbe stata veramente dura, “con quella cifra più di una settimana non si potrebbe andare avanti”.

Mentre altri giocavano a calcio e guardavano la tv, Nur si è dato da fare per imparare l’italiano. “È una tappa necessaria per poi cercare lavoro”, ma non è stato facile, “ho dovuto cercare da solo, solo qualche amico mi ha consigliato alcune scuole. Al centro c’erano 5-6 insegnanti per oltre 400 ospiti, ma almeno sono stato aiutato nel processo burocratico per i documenti”. Da un mese l’impiego come mediatore, nell’ambito dei servizi offerti dalla cooperativa Abitus, sempre nella struttura in via Staderini. “La situazione ora è migliorata, sono rimaste circa centocinquanta persone”. Diverse le nazionalità, da paesi africani come Nigeria, Mali, Niger, Costa d’Avorio, Eritrea ed Etiopia, oltre alla Somalia, ma anche asiatici come bengalesi e pakistani. La tendenza è però di formare gruppetti di connazionali, fattore che “non aiuta nell’apprendimento dell’italiano”.

Improbabile, al momento, un ritorno in Somalia, anzi “appena la situazione lavorativa sarà stabile cercherò di farmi raggiungere da mia moglie. Qui mi trovo bene, ho capito come funziona”. Certo le difficoltà ci sono, negli uffici per l’impiego si sente sempre dire che “non c’è lavoro neanche per gli italiani”. Non sono moltissimi i suoi connazionali nel nostro paese – circa 2500 in tutto il Lazio – “il 90% cerca di andare nel nord Europa, dove ai rifugiati vengono dati 300-400 euro mensili in più dei 75 concessi qui”. Infatti gli esercizi commerciali gestititi da somali sono pochi e concentrati nella zona della stazione Termini, dove gravita la maggior parte di loro. E indicativa è anche l’assenza di ristorazione tipica, specie se rapportata a quella etiope ed eritrea, ben più diffusa e conosciuta.

Un’occasione di aggregazione è stato il Mundialido, nell’edizione 2012 Nur ha partecipato, su proposta di un amico con cui era solito giocare a calcetto. “In Somalia la partita del venerdì – il giorno festivo – era un appuntamento fisso”. Squadre del cuore Roma e Chelsea, ma come nazionale la preferenza va all’Olanda, “per il suo stile di gioco”. Il calcio è seguitissimo in Somalia, la febbre del pallone è pari a quella che colpisce gli italiani. “L’ho capito quando nel colloquio con la commissione per la valutazione della domanda di richiedente asilo mi hanno chiesto se fossi tifoso di Roma o Lazio”.

Gabriele Santoro
(2 maggio 2013)