
Asinitas Onlus è un “centro interculturale con i migranti” che insegna italiano ai rifugiati e richiedenti ricongiungimento familiare o asilo, un corso che dura da ottobre a giugno presso la “Comunità cristiana di base Roma S. Paolo” in via Ostiense. Asinitas è una delle 53 organizzazioni, tra cui Più Culture, che aderiscono alle Rete ScuoleMigranti, network virtuoso di “scambio di stimoli, pratiche e riflessioni” che affronta la nuova legislazione che prevede la conoscenza della lingua italiana di livello A2 per ottenere la carta di soggiorno di lungo periodo.
“Il momento dell’accoglienza”. Il clima, appena entrata nella grande sala della Comunità, è più da ricreazione che da scuola. Carolina mi spiega che la prima parte della mattinata, dalle 9 alle 10:30, è “il momento dell’accoglienza”. Penso che è bello essere accolti con accoglienza e infatti, guardandomi intorno, la noto in ogni cosa: musica, ragazzi che giocano a palla, altri a memory, altri ancora chiacchierano sorseggiando caffè da una gigantesca moka. Il momento dell’accoglienza ha un valore centrale per una “scuola del sociale” come si definisce Asinitas: ci si conosce, ci si rilassa, si fa colazione, altri modi di insegnare e imparare. Conosco Laura, traduttrice di italiano/spagnolo, insegnante di italiano al Centro Astalli, altra scuola della Rete, che ammira il modo di lavorare di Asinitas e spesso partecipa alle loro lezioni: “il memory per esempio è stato costruito da loro, con parole e simboli divisi per colori che indicano il livello di difficoltà”.
“Non sono pesci in un acquario”. Le classi sono tre: quella degli analfabeti, gestita da Elena, il corso base con Carolina e l’avanzato con Chiara, tutte giovanissime, mentre Fiore, psicologo, si occupa della struttura e della classe di fonetica con chi ha più difficoltà con i suoni linguistici dell’italiano: “per esempio etiopici ed eritrei confondono le esse e le zeta”. Chiara sembra avere le idee chiare, come il suo nome: non vuole che faccia “il giornalista che si mette a osservare pesci in un acquario. È importante non creare sensazioni di disagio, partecipando alle attività come chiunque altro”. L’osservazione partecipante mi sembra il massimo dell’antropologia, così approvo la prospettiva, pensando che con questo intende farmi capire pienamente il loro modo di insegnare: “scuola è riflessione, non osservazione”.
“Pronto Soccorso Linguistico”. “Facciamo molti lavori di gruppo in modo che si possa creare una collaborazione anche tra di loro, tra chi ha più contenuti e chi più forma. Per noi è importante che abbiano una struttura forte, come ogni parola funziona nella frase. Si lavora anche sulla sicurezza in se stessi, sul modo di porsi, per stare meglio nella società in cui si vive. L’attenzione è dunque sia pedagogica che psicologica: “far capire che la lingua straniera è accessibile, un pretesto per non crollare e un modo per interrogarsi sulla migrazione”. Per questo è anche importante “non correggere parola per parola: meglio un giorno che non capiscono quasi nulla, perché 2-3 parole saranno sicuramente ricordate per lo sforzo di averle capite”. Mi colpisce l’alto livello di cultura che Asinitas propone: sento parlare di Majakovskij, di Ariosto e Verga e al contempo l’accostamento a lavori artistici, che possono risultare più infantili, ma che hanno una valenza importante che Carolina mi fa cogliere: “facciamo molti laboratori manuali ed espressivi per non penalizzare gli analfabeti che in queste cose sono estremamente comunicativi”.
“Tartarughe Dinamiche”. Un’importanza di queste scuole è occupare il tempo: “i rifugiati non possono fare nulla durante il giorno” mi dice Laura, perché senza permesso non possono lavorare e i centri di accoglienza sono dormitori, quindi dalle 8,30 alle 18,30 devono “andare in giro” anche se piove. Oltre alla scuola, Asinitas organizza una serie di altre attività, come il recente laboratorio teatrale, “terapeutico” dice Chiara, sia perché i ragazzi si sono confrontati con coetanei italiani, sia perché hanno affrontato il tema della difficoltà del viaggio, che è un aspetto che li caratterizza tutti. Poi c’è l’Archivio delle Memorie Migranti presentato alla Casa del Cinema, il laboratorio di serigrafia ad Arco di Travertino, il lavoro con le donne e i bambini, i progetti di cinema come Una scuola italiana sulla Carlo Pisacane di Torpignattara con l’80% di alunni stranieri e Come un uomo sulla terra, documentario che raccoglie testimonianze dalla Libia. I ragazzi hanno inoltre libero accesso a Internet da 4 computer e si raccontano tramite il blog Tartarughe Dinamiche che ha una bellissima descrizione di sé: pazienti e risoluti con una casa-corazza addosso.
“Una lezione sul mondo”. In quest’anno scolastico sono stati affrontati, per ovvie ragioni di attualità, soprattutto temi politici: “dal nostro punto di vista – dice Chiara – le problematiche politiche sono importanti per vedere come confluiscono nella storia di una persona”. Dalla rivolta alla resistenza, dalle regole alla dignità, dal viaggio ai confini che si sono dovuti superare: “per esempio abbiamo fatto un bellissimo lavoro sugli “Eroi”, quelli famosi e quelli della propria vita” dice Fiorenza, un’altra volontaria. Oggi la lezione unirà eccezionalmente le classi e si parlerà del mondo. Formiamo un grande cerchio, siamo quasi 60 persone, poche donne, tutte timidissime. In tema con la lezione, ci salutiamo in tutte le lingue: ascolto più di 20 “buongiorno”. A vedere così vicine così tante nazionalità, mi rendo conto di quanta ricchezza ci possa essere in una sola stanza. Cantiamo – tutte le cose al di sotto della luna sono sottoposte al desiderio di fortuna – una canzone scritta da loro. Poi facciamo il “gioco della sedia”, mentre sotto suona un’italianissima tarantella. Io sono vicina ad Aisha, libica, e Liliana, bulgara, terrorizzate di perdere quasi quanto me! A questo punto, sono ormai le 10:30, inizia la lezione vera e propria. Chiara ci divide per paesi: ogni gruppo dovrà scrivere una presentazione del suo, sottolineando un punto di debolezza e uno di forza e poi “raccontarlo agli amici”.
“Combattuti tra negatività e affezione”. Cassima e Balek ci parlano della Costa D’Avorio e del “presidente venuto prima del caffè e del cacao, dopo il paese si è impoverito e ha portato alla guerra civile”. Habib e Kassim raccontano un Afghanistan “con un bel clima, una buona cucina, la danza, tante montagne e sorgenti. Si producono tappeti e droga. Nessuno capisce i tanti stranieri che cosa vogliono”. “La droga!” grida una voce da lontano e tutti si mettono a ridere. Hassan parla invece della sua Somalia, “terra fertile, dove i giovani vogliono il futuro ma non lo vedono”, lui ha 23 anni e non ha mai visto la pace. Hibraim e Yunnus sono del Kurdistan, “nel mezzo della Mesopotamia, famoso per il pistacchio con cui fanno i dolci baklava. Ma la Turchia usa l’esercito, dicendo che siamo terroristi”. Samir, il più piccolo di tutti con soli 14 anni, e Alì vengono dall’Egitto: “la Grande Manifestazione ha portato la Costituzione, ma inglesi, francesi e americani non vogliono che abbiamo la libertà”. Kilmon e Isaias ci parlano dell’Eritrea dove “ci sono forti lavoratori che vivono di agricoltura, ma abbiamo dittature da 19 anni”. La Libia di Aisha dice “spero finisca la guerra”. Asmar e Abdullah raccontano l’Etiopia dove c’è “tanta cultura e tanta storia e un calendario diverso: a settembre comincia l’anno di 13 mesi. Ma nei villaggi le bambine di 10 anni sono sposate a mariti di 30 anni”. Si crea un grande silenzio. Ormai è quasi l’una, ma chi non deve lavorare rimane oltre le 2 ore di classe per ascoltare: mancano ancora 11 paesi. Abdul dice del Mali che è il “paese con più democrazia in Africa perché i governatori sono concordati”. Passiamo dall’altra parte del mondo con Geronimo che ci dice che l’Uruguay “ha avuto tanti migranti italiani: anche noi mangiamo carne alla brace e vino. Nel ‘99 c’è stata la crisi economica, per questo io e altre 500mila persone siamo andati via”. Una ragazza ci parla della Bolivia, ”paese multietnico dove si mangia piccante, famoso per il Carnevale della città di Oruro. Ma l’opposizione è repressa, c’è il narcotraffico e la guerra dell’acqua perché sia pubblica dal ‘99”. Il Senegal dice che “a Dakar il lavoro è buono, c’è tanto turismo e al Senegal piacciono gli stranieri”. In Marocco scopriamo che “c’è il deserto ma anche la neve, a Ifrane, la “Piccola Svizzera”” ma come in Italia, “c’è lavoro solo per chi conosce gente importante”. La Tunisia di Slim “è come un paradiso dentro una prigione, posso stare tranquillo, mangiare, lavorare, solo non posso esprimere le mie idee”. In Sri lanka “c’è un buon presidente, 4 religioni, 3 lingue, tanto sport e tanti animali”. In Cina “ogni cosa è cara, soprattutto la casa”. In Bangladesh ”si vive di agricoltura, ci sono tanti boschi e fiumi e la spiaggia Cox’s Bazar è la più grande del mondo. Il problema sono i soldi e il lavoro”. Kaled e Bandar ci raccontano che lo Yemen è “il più antico centro di civilizzazione del mondo”. E Hassan ci dice che in Ciad “tutte le persone sono una grande famiglia e ci sono tanti animali liberi. Il governo è democratico, ma c’è la guerra”.
Alla fine c’eravamo anche noi dell’Italia che abbiamo detto “vogliamo imparare a vivere insieme”.
Alice Rinaldi(18 maggio 2011)