Dopo la mobilitazione di Firenze è la volta di Roma. Sabato 14 gennaio un corteo di migliaia di persone ha sfilato da piazza della Repubblica a San Giovanni per affermare il diritto alla dignità umana contro ogni forma di discriminazione. “Non ho più nessuno, la mia famiglia è morta in Libia. Dateci una possibilità, siamo tutti esseri umani” è la richiesta di Kindaess, ventottenne nigeriano che da 8 mesi vive nell’attesa di un permesso di soggiorno. Martedì 24 l’incontro con il Ministro Riccardi.
Accoglienza e solidarietà contro le discriminazioni. Lotta al razzismo e alla xenofobia omicida che è costata la vita a Mor e Modou, i senegalesi uccisi a Firenze il mese scorso. Diritto all’accoglienza. Libertà di circolazione, soggiorno, lavoro. Cittadinanza alle seconde generazioni. Queste le ragioni della manifestazione, promossa dalle Assemblee permanenti dei profughi e dei rifugiati e dall’Associazione antirazzista e interetnica 3 Febbraio, alla quale hanno aderito organizzazioni presenti in tutta Italia.“Il vero successo è essere riusciti a portare in piazza per la prima volta profughi e rifugiati con una mobilitazione che è interamente autorganizzata e autofinanziata” dichiara Gianluca Petruzzo, responsabile dell’Associazione 3 Febbraio. “Chiediamo che sia garantito il permesso di soggiorno umanitario attualmente negato a chi fugge da paesi in guerra, come la Libia, ma proviene da stati ritenuti non in conflitto”. I primi risultati non tardano ad arrivare: “Martedì 24 gennaio incontreremo il Ministro per la Cooperazione internazionale e l’Integrazione, Andrea Riccardi, per discutere della questione. Anche in quell’occasione intendiamo organizzare iniziative nei Centri di tutta Italia”.“Il ricatto della clandestinità deve cessare” afferma Antonio Bicchielli del Comitato Stop Razzismo di Prato. “Vogliamo una nuova sanatoria e il recupero delle pratiche dei tanti fratelli truffati nel 2009 da agenzie che non hanno depositato i documenti nelle Prefetture, impedendo a chi aveva pagato di essere regolarizzato”.Le divisioni vanno abbattute con la vicinanza e la solidarietà, spiega Giovanna Maresca dei Comitati Solidali e Antirazzisti: “Iniziamo a riconoscerci come persone, dialoghiamo, anche in modo critico. In questo modo tanti problemi, instillati anche dalle istituzioni, possono essere risolti”.
Dal dramma della guerra al limbo dei permessi. Arrivano dal Burkina Faso, dalla Nigeria, dal Bangladesh, dal Mali, dal Darfur. Sono scappati dalla Libia e da mesi vivono in una condizione di sospensione. “Non ho i documenti, non posso lavorare” è la frase sulla bocca di tutti. “Il governo italiano si rifiuta di aiutarci, ma abbiamo tutti lo stesso sangue” urla Chuks, nigeriano da 8 mesi in Italia. Agyei è ingegnere, parla 3 lingue e in Libia lavorava in un’impresa di costruzioni: “Se veniamo in Italia è perché abbiamo dei problemi, altrimenti torneremmo nei nostri paesi”. Faisal questa situazione l’ha vissuta 20 anni fa: “Avevo 19 anni e frequentavo la facoltà di Lettere nel mio paese, la Tunisia. Mi hanno arrestato durante una manifestazione contro la guerra in Iraq e sono finito nella lista nera governativa”. L’espulsione dall’università, gli arresti domiciliari, la paura per sé e per la propria famiglia: “Grazie ad un professore che è venuto in mio aiuto sono riuscito a corrompere il personale che effettuava i controlli all’aeroporto e a prendere un volo per l’Austria, dove non era richiesto il visto di ingresso. Poi sono arrivato a piedi in Italia”. La domanda di asilo però viene respinta: “Volevano una prova concreta, ad esempio un giornale che dimostrasse che ero ricercato in Tunisia. Ma io non potevo procurarmi nulla del genere”. Così fino al ‘96 resta senza permesso di soggiorno: “Sono andato al Sud perché dicevano che al Nord se non avevi i documenti era pericoloso. All’inizio è stata dura, dormivo sotto i ponti, ma con il tempo le cose si sono sistemate”. Oggi vive a Bologna ed è operaio. Il sogno di finire gli studi si è infranto, non i suoi ideali: “L’integrazione di cui parlano i governi, di destra o di sinistra, non mi convince. Cosa vuol dire permesso di soggiorno? Un foglio che quando scade tu non vali, per la legge non esisti. Io vorrei cambiarla questa società, ma attraverso le relazioni umane, non con la politica”.
Una vita di esclusioni. Anche per chi ottiene lo status di rifugiato le cose non sono affatto semplici, spiega Adem Bejzak, attivista rom di Firenze giunto nel nostro paese dal Kosovo nel ’99: “Quando siamo arrivati qui ci hanno confinato nei campi nomadi, eravamo recintati e separati dai cittadini. Il mondo non sapeva che nel nostro paese avevamo una casa, un lavoro, che i nostri ragazzi andavano a scuola. Che fuggivamo da un conflitto e volevamo vivere onestamente come tutti”. Una storia che Aden ha deciso di raccontare nel libro Un nomadismo forzato, scritto insieme a Kristin Jenkins: “È importante che la gente sappia che cos’ha significato la guerra per noi rom. Che conosca la nostra verità”. Una realtà ignorata sia dalle istituzioni che dai mass media. “Le case bruciate a Torino per un errore commesso da una ragazza dimostrano che c’è un pregiudizio radicato e pericoloso”.Edward, ventottenne liberiano, è in Italia da 7 anni e vive a Roma: “Ho una laurea in Scienze Politiche, ma non mi viene riconosciuta. Prima lavoravo come receptionist in un albergo, ora ho ricominciato a studiare, ma se le cose non cambiano dovrò andare via”.Joshua, 14 anni, è di Genova. “Sono nato qui, mia madre è italiana, mio padre americano. Negli ultimi anni ho visto un cambiamento per certi versi positivo perché con l’aumento degli stranieri c’è più tolleranza”. Il razzismo, però, è una realtà con cui deve fare i conti tutti i giorni: “Camminando per strada sento frasi come ‘sporco negro’. La gente le dice senza pensare alle conseguenze”.Adil, anche lui genovese, ha 17 anni: “Per le mie origini ho dei problemi. Volevo arruolarmi nelle forze armate ma non mi è permesso, anche se sono nato in questo paese, perché serve un grado di parentela italiano e i miei genitori vengono dal Marocco. In futuro se ne avrò la possibilità andrò a vivere altrove”.Annie Gehnyei dopo la fiaccolata di Piazza del Popolo è partita per la manifestazione di Firenze e oggi è nel corteo romano: “Qualcosa sta cambiando, si sente, è una grande emozione”. Per lei la scintilla si è accesa negli ultimi mesi: “In passato non ho mai partecipato a simili iniziative. Ora sono stanca di essere umiliata, di attendere un documento che attesti che sono una cittadina. Continuerò a lottare e, vedendo la manifestazione di oggi, penso che la mobilitazione non si fermerà”.
Sandra Fratticci(19 gennaio 2012)