Noi rom non siamo nomadi

Emil sul set di Chimere assenti – foto di Sandro Weltin, Council of Europe

Torno al caldo di casa a scrivere, e penso al campo. Bombole a gas che ogni tanto vanno spente, ma in cinque minuti già ritorna il freddo. È La Cesarina, il campo ‘nomadi’ attrezzato e autorizzato dal comune di Roma, che si trova in fondo alla Nomentana, vicino al raccordo. Pensare che la mia prima battuta con Emil, 42 anni, mediatore culturale rom di origine rumena, è stata «che freddo oggi!», «pensa che noi abbiamo l’acqua calda solo tre volte a settimana e ho sei figli». Ma ha gli occhi sereni Emil, oggi è diventato nonno – «mio fratello è più piccolo di me di due anni ed è diventato nonno prima di me, sono un po’ in ritardo per il mio popolo» – durante l’intervista in tanti telefonano per fargli gli auguri. Ma Emil è anche un «giovane papà» con l’orecchino, come lo chiamano i figli, 4 femmine e 2 maschi. La più piccola, Anastasia, 9 anni, è nata a Roma e dice di sé: «io sono rom romana», divertita dal gioco di parole. Emil vive in Italia da 11 anni, ma non per scelta, «preferivo la Francia, lì avevo un lavoro, c’era – e anche oggi c’è – una politica di inclusione migliore». Strano a sentirsi, visto tutto quello che di brutto si dice sulla deriva razzista del governo Sarkozy.

Arrivato a Roma dalla Romania, Emil si è ritrovato a Villa Troili, con altre 150 persone, tra via della Pisana e il GRA, ai margini del municipio XVI. Solo un anno fa la ‘tendopoli’ è stata sgomberata perché area «densamente popolata, per oltre cinque anni vittima della presenza di un insediamento nomadi». Questo l’ha detto Fabrizio Santori, consigliere Pdl del comune di Roma. Ancora, «lo stop agli sgomberi è un’overdose fatale di tolleranza per una piaga che attanaglia la città da decenni», si legge sul suo sito. Vittima. Piaga. Nomadi. Intolleranza. Almeno due iperboli e un errore – i rom non sono nomadi – oltre alla decisa volontà di non voler nemmeno presupporre l’idea che possa esistere una convivenza.

La vecchia tendopoli di Villa Troili – da comitatiroma.blogspot.com

«All’inizio ho lavorato ai semaforitra la Nomentana e la Salaria – spesso non si trova altro se dici che sei rom. Te lo dicono chiaramente: ‘non posso farti lavorare perché sei zingaro’. Se hai i documenti puoi sperare in un contratto». Allora Emil ha pensato: «i figli subito a scuola». Ci sono varie associazioni romane che si occupano di scolarizzazione e accompagnano i bambini con il pulmino – i campi sono talmente distanti dal centro di Roma da non essere serviti nemmeno dagli autobus – ma Emil li accompagnava da solo. Così ha iniziato a farsi conoscere e a collaborare con associazioni e istituzioni, diventando mediatore culturale, «per stimolare altri rom a fare lo stesso, in qualche caso ci riusciamo».

Forse i rom fanno paura perché sono indefinibili, eppure non esiste popolo che sia più mescolato e aperto. La loro origine è la stessa, l’India, ma la provenienza può giungere da ogni paese, assimilando così gli aspetti di più culture. I rom dalla Romania per esempio sono ortodossi, dall’Italia sono cattolici, infine ci sono i rom islamici. Anche i lavori tradizionali sono tanti: ci sono i musicisti, chi lavora i metalli – soprattutto l’oro, l’argento e il rame – ci sono ancora gli addestratori di cavalli, chi fa l’artigiano. Pochi popoli conoscono e praticano come i rom l’arte del riciclaggio. Soprattutto, «il nomadismo non c’è più, si pratica solo per lavoro – i giostrai per esempio si muovono spesso – in ogni caso un punto di riferimento c’è sempre. I rom vogliono ritornare a casa come chiunque altro». Come i pendolari.

«Il campo per noi è una scelta obbligata», veicolata non necessariamente da una politica xenofoba, quanto semplicemente ignorante, ‘nel senso che ignora’, si direbbe. “Piano Nomadi”: l’assetto solo nell’intento è già sbagliato. D’altra parte le condizioni lavorative spesso non permettono altri ideali di vita: «coi contratti a progetto non si può avere una casa». I campi sono un’anomalia delle grandi città, per esempio Roma o Napoli. «A Bologna mio fratello ha la casa in affitto, lì c’è un’altra politica sociale, più presente e più giusta: l’assistente sociale assiste finché una famiglia ne ha bisogno».

Campo La Cesarina nella realtà… da paesesera.it

I soldi che girano per i famigerati Piani Nomadi – «nomadi, chi?» – sono tanti e arrivano da ogni parte, dal Comune e dal Consiglio europeo. «Con i soldi con cui si fanno i campi si potrebbero fare case». Per esempio i 9 milioni stanziati per attrezzare il campo de La Barbuta a Ciampino – che dovrebbe ‘ospitare’ oltre 600 rom che ora vivono troppo vicino al tessuto cittadino, tra il Foro Italico e Settechiese – «si potevano mettere per costruire appartamenti, i campi sono peggio dei ghetti del 1800. Soprattutto per i bambini e per gli adolescenti ‘campo’ significa ‘chiusura totale’. Anche se vanno a scuola, ogni giorno per loro significa fare questo tragitto: campo, pulmino, scuola, pulmino, campo, e poi solo campo per tutto il resto della giornata».

Gli stessi soldi che girano per ‘gestire i bambini’: i progetti di scolarizzazione esistono dal 1995, ma pochi ragazzi arrivano al liceo. Il che significa che qualcosa non funziona: «ai genitori viene sospesa la responsabilità, sono tanti che non vengono coinvolti. Le maestre parlano sempre con l’associazione e mai direttamente con i genitori». Quello che suggerisce Emil sono «percorsi, e non progetti». Il progetto si esaurisce e non porta frutti, il percorso accompagna, modella tutto intorno, crea prospettive. Quindi, facendo un po’ di conti, si dice che i rom non si interessino ai propri bambini o che addirittura li rubino, mentre «non esiste alcun fondamento su questo, semmai avviene il contrario, ma non possiamo dimostrarlo, le adozioni sono legali». Inoltre «se non hanno la possibilità della scuola, sono gli stessi bambini che preferiscono andare in strada con i genitori, pur di non rimanere nel campo. E se hai un neonato, a chi lo lasci?»

«E allora è ovvio che da un pregiudizio ne nascano altri e si alzino muri. Sia da una parte che dall’altra, anche i rom lo hanno alzato, solo da poco iniziano a parlare della loro cultura. Nel tempo siamo stati abituati a negarla per avere una casa e un lavoro, ma poi? Molti personaggi famosi sono rom e non lo dicono, come Michael Caine e Bob Hoskins. Per non parlare di tutti i sinti italiani. Un po’ ci nascondiamo…»

Campo La Cesarina nella fantasia… foto di Sandro Weltin – Council of Europe

«Ma la nostra cultura piace, e allora davvero non ha senso nascondersi, basti vedere Shakira che canta I’m gipsy. O altri personaggi come Joaquín Cortés, Goran Bregovic, Emir Kusturica, i Gipsy Kings, perfino Charles Chaplin era rom. Siamo pieni di pregiudizi ma poi le persone apprezzano i nostri vestiti, i nostri orecchini, la nostra ‘moda’».

«I rom ci offrono la fantasia e la libertà», affermò l’attrice francese Fanny Ardant, regista del corto Chimere assenti girato a Roma proprio al Campo Cesarina nell’ambito della campagna Dosta! (Basta! in lingua romanes) promossa dal Consiglio d’Europa per combattere i pregiudizi nei loro confronti. Il cortometraggio, in cui compare anche Emil, è stato presentato al Festival del Cinema di Roma nel 2010: un bel prato, roulotte colorate, povertà felice. Un’immagine ancora una volta romanzata, per chi preferirebbe oramai vivere in un appartamento come tutti.

«Gli italiani devono ricordarsi che anche loro hanno subito brutte cose, basti ricordare la vicenda di Sacco e Vanzetti. Comunque capisco anche che gli italiani non sono abituati alla multi etnicità», il lato positivo del vecchio colonialismo che rende oggi alcuni popoli più mescolati di altri. Ma è solo questione di tempo, «gli italiani hanno il cuore aperto, è la politica che gonfia, che fa campagne elettorali sulla pelle dei rom: promettere di farci sparire da Roma e diventare sindaco».

Bambina rom del campo La Cesarina – foto di Sandro Weltin, Council of Europe

Non è nemmeno giusto non considerare che i rom sono il popolo che ospitiamo da più tempo, in un periodo in cui la campagna L’Italia sono anch’io sta raccogliendo le firme per dare la cittadinanza a chi risiede regolarmente in Italia da più di cinque anni: «i rom della ex Jugoslavia sono in Italia da 40-50 anni. Ormai sono arrivati anche alla quarta o quinta generazione, ma non hanno nessun riconoscimento o documento né in Italia né nel paese d’origine. Per i rom rumeni è più facile perché sono comunitari, cittadini europei con i documenti, infatti la maggior parte pensa di rimanere, chi ha lavoro può avere la casa, è tutto collegato. Alcuni sono apolidi, molti perdono i documenti negli sgomberi o negli incendi, tanti non sanno come funziona la burocrazia, e può succedere che la gente se ne approfitta quando vede dei rom che non sanno leggere e scrivere. In ogni caso molti di noi si sentono italiani, anche perché parlano solo l’italiano e un po’ di romanes. Le nuove generazioni magari non hanno mai visto il loro paese d’origine».

Ma cosa pensano questi bambini? «Mi colpì mio figlio, dopo una piccola vacanza a Bologna a casa di mio fratello. Mi chiese: ‘perché dobbiamo tornare al campo?’. Due anni prima una famiglia italiana ogni tanto dopo scuola lo ospitava a casa: c’erano i giochi, la Playstation, una grande tv, ma non rimase colpito da niente di tutto questo, voleva solo il caldo della casa». Ripensando all’Ardant, sicuramente c’è libertà per chi vive alla giornata: «cerchiamo di tirare fuori cose buone ogni giorno per andare avanti» lungo una storia dura, da subito, «nel 1859 i rom furono dichiarati schiavi in Romania. E successivamente abbiamo subito un olocausto tale e quale a quello ebreo, che noi chiamiamo Porajmos. Cerchiamo insomma di stare uniti – per questo da noi si cucina sempre di più perché può arrivare un ospite – e di prendere le cose con filosofia. Ricordo una volta sul pulmino, la gente come al solito si era seduta lontana da dove stavamo, e allora mio fratello disse: ‘Ehi guarda, non c’è nessuno vicino a noi, possiamo ballare!’»

Emil ha il nome di Zola, gliel’ha scelto il padre, ma viene chiamato anche Julien da Il rosso e il nero di Stendhal. Giovane ambizioso.

Alice Rinaldi
(26 gennaio 2012)