Capo Verde Italia. Donne, nuove generazioni, lotta interculturale, digitale

Terze generazioni coinvolte nel progetto Mundo Kriol

“I ragazzi che da Capoverde inseriscono contenuti del sito Mundo Kriol contribuiscono a smitizzare o a rendere meno stereotipicamente tribale, da anelli al naso, l’immagine che noi nate e nati qui abbiamo della nostra terra d’origine. Noi a nostra volta cerchiamo di restituire una fotografia reale e meno da eldorado della vita qui in Italia che per altro evolve e non resta immutata passando di generazione in generazione”.Nelly e Paola sono giovani terze generazioni  capoverdiane nate in Italia e rappresentano una voce fondamentale per capire la piega che prenderà nel tempo il progetto Mundo Kriol, una delle proposte emerse giovedì 29 marzo nella mattinata dedicata a Le nuove sfide delle donne capoverdiane nella cooperazione internazionale, ospitata dall’Ufficio d’informazione per l’Italia del Parlamento Europeo sito in via IV novembre a Roma.

Dietro la costruzione di questa giornata c’è l’Omcvi, l’Associazione Donne Capoverdiane in Italia, “nata nel 1988 da un gruppo di donne e che in regime di volontariato cerca da decenni di favorire una doppia integrazione socioculturale in Italia e nel Paese d’origine per le nostre migranti”  spiega la presidente Angela Spencer.

Storia migrante di quelle che erano appena giovani madri. Perché la comunità capoverdiana in Italia si muova a favore della donna è presto detto: la sua origine è in una migrazione di genere, come lo è, man mano che si è creato il problema del  welfare per la terza età, per i più recenti popoli di badanti (spaccato sulla migrante ucraina)“La donna capoverdiana  ha avuto la prima grande emigrazione verso l’Italia negli anni ’60 quando c’è stata l’ultima grande siccità (problema gravissimo per queste isole poste ai tropici, breve storia della neonata Capo Verde  ndr)” riferisce l’ambasciatore José Eduardo Barbosa. “Nell’arrivare in Italia questa donna ha dimostrato una grande capacità di sopportazione e dignità personale.  Si interfacciava con un mondo totalmente nuovo: non si parla solo di difficoltà oggettive nel trovare lavoro o del coabitare presso le datrice di lavoro, visto che tendenzialmente lavoravano nelle case, parliamo dell’impatto culturale affrontato in solitudine con una società in cui i ruoli di genere erano abbastanza diversi da quelli vissuti in patria”

“Capoverde negli anni ’60 presentava dei ruoli familiari che erano simili al nostro meridione degli anni ’20con struttura notevolmente patriarcale (la storia di Angela Spencer e la sua analisi sul rapporto capo verdiano tra i sessi). La domanda di collaboratrici domestiche in Italia è dovuta proprio a questo gap: con il boom economico e gli elettrodomestici la nostra donna si emancipava e le mansioni domestiche venivano delegate”  spiega Giulia Romano Putortì  insegnante in pensione di economia aziendale e tecnica del turismo, parte del movimento cattolico Tra Noi, storicamente dedito all’accoglienza ed aiuto di persone anche in condizioni di disagio. “Ovviamente non altrettanto aperto era il mercato italiano per l’uomo capoverdiano: la donna, che per abitudine in Africa si sposava molto giovane, partiva lasciando marito e figli in patria. Prima dei ricongiungimenti degli anni ’80, i legami col marito o parenti maschi si riagganciavano in Paesi come il coloniale Portogallo o in Olanda” dove per mestieri pesanti come la pesca,  adatta all’uomo capoverdiano, c’era offerta.Le donne spesso partivano senza un’istruzione scolastica e senza conoscere bene una lingua scritta visto che a Capoverde la lingua principale, per quanto ufficialmente proibita prima dell’indipendenza nel ’75,  era quella matrilineare e interna alla casa, cioè il creolo che è una lingua orale: “eppure parte di loro con un misto di caparbietà ed umiltà sono giunte anche ad una laurea” precisa Putortì.

Economie: tra cervelli da crescere e limiti.  “Adesso c’è un grande ritorno delle seconde e terze generazioni capoverdiane verso la terra d’origine attraverso progetti di cooperazione europea e capoverdiana: uno dei nostri obiettivi è creare una struttura forte di intellettuali” dice Barbosa.“Vogliono giungere ad importare Know-how: hanno istituito delle possibilità per i giovani laureati italiani o anche di altri paesi UE di andare per 6-8 mesi per insegnare ai capoverdiani, in particolare – spiega Putortì – nel turismo e nelle nuove tecnologie. Il turismo è e sarà uno dei pilastri economici di Capoverde: il problema è che ad oggi è affidato alle multinazionali e il ritorno economico per gli autoctoni è scarsissimo, anche perché queste non necessitano neanche di personale umile visto che da fuori portano con sé anche questo”E qual è la situazione socioeconomica della comunità in Italia? La presidente dell’Omcvi Angela Spencer spiega tutto con una battuta: “siamo una delle poche comunità immigrate in Italia che non ha imprenditoria, non abbiamo esercizi commerciali al dettaglio. Questo per noi è un indizio importante di una soglia socioculturale non superata”

Mundo Kriol. Un’esperienza importante è quella del progetto Mundo Kriol che vuole connettere iniziative e scambiare informazioni per lo sviluppo sostenibile di Capoverde tra chi è qui, in specie seconde e terze generazioni, e le isole africane.Prima tappa del progetto è la C-314 Mundo Kriol avviata dal 2009 al 2011 : la costruzione di un centro multimedia a Sao Nicolau (una delle isole di Capoverde, ndr) che ha permesso di costruire un primo ponte comunicativo e relazionale tra nuove generazioni dei due continenti che è sfociato anche in un reciproco viaggio di incontro tra comunità migranti e patria.Le associazioni che hanno permesso questo sono Ajs, Binario Etico, Lunaria, Omcvi, finanziatori sono l’Undp e Ec-Un Joint Migration &Development Initiative.Secondo Marcello Mariuzzo di Lunaria “L’obiettivo è incentivare le nuove generazioni a una lotta interculturale, a riuscire a coglierne la sfida e il peso. Sono tante le questioni in ballo: anche legare i figli rimasti nelle isole alle madri, migranti storiche. Questo scambio che sinora ha coinvolto Sao Nicolau nel prossimo futuro potrebbe, col finanziamento dei Valdesi e le stesse associazioni,  includere le isole di Sao Vicente e Santo Antao, per quest’ultima poi, viste le sue  evidenti difficoltà economiche, il progetto avrebbe un valore aggiunto.Riguardo a ruolo delle donne e centro multimedia di Sao Nicolau, le Associazioni partner non hanno un ruolo paternalistico: sono le Associazioni di Donne Capoverdiane a gestire il tutto, in un contesto informatico normalmente a predominanza maschile, in compenso le donne più dell’uomo sono motivate nel lavoro di relazione.”

Leggere una società nella filigrana del digitale. Nicolas Denis di Binario Etico spiega qualche retroscena metodologico e  sociale “Le tecnologie per loro inizialmente era un qualcosa di alieno: noi come Binario Etico partiamo dal presupposto che la tecnologia non è qualcosa di neutro, siamo coscienti di quanto questa impatti, a livello socio cognitivo ma anche ambientale, su chi le riceve ex novo; cerchiamo nei limiti del possibile di gestire questo impatto.La premessa è che lavoriamo in contesti precari e con budget ridotti. Primo punto è la scelta del software, secondo è stato fondamentale per l’autonomizzazione insegnare ai capoverdiani ad aggiustare i computer usati o rovinati per due ragioni. La prima è che sappiamo quanto siano pericolosi i rifiuti da Ict, quindi cerchiamo di rendere un computer rifiuto il più tardi possibile riuscendo a raddoppiare la sua vita “normale” che è di 5-10 anni. La seconda ragione è il costo/tempo dei trasporti di Ict all’interno di e verso Capoverde: far aggiustare a terzi un computer a Sao Nicolau vuol dire spedirlo a Sao Vicente e aspettare settimane; importare un computer nuovo vuol dire pagarlo molto di più che non in Italia.”

La storia e il presente …nostro …secondo noi. “Il passato è importante: valorizza un popolo anche se slegato da una diaspora” spiega Paola il giorno seguente nella sede dell’Ong Matemù che, a due passi dalla metro S. Giovanni di Roma, ospita la comunità capoverdiana per incontri. “All’interno del sito Mundo Kriol stiamo creando una sezione che si occupi di storia e attualità in Africa: intendiamo curarlo sia  noi capoverdiani specie per la parte d’attualità e affidiamo alcune ricostruzioni più tecniche e storiche a persone con una competenza più specifica: qui a Matemù abbiamo una giovane antropologa. La parte d’attualità la cureremo noi ragazze/i di entrambi i continenti,  l’obiettivo non è difficile da comprendere: dell’Africa l’occidente ha una visione distaccata, parcellizzata, incompleta e per molti versi distorta. L’occidentale medio non sa perché ci sia una determinata guerra o una ribellione … ammesso anche che ne conosca l’esistenza: vogliamo proporre nel nostro piccolo una controinformazione che non è altro che la nostra lettura degli eventi. Faccio un esempio: Joseph Kony, il militare ugandese che da decenni genera bambini soldato e mostruosità (il report del blogger visuale ShooterHatesYou). Negli Usa è nata per affrontare questo problema un’associazione che si chiama Invisible Children: apparentemente si propone ottimi fini eppure noi abbiamo più d’una ragione di pensare che sia una scusa per esportare un po’ di democrazia. Non siamo convinti che sia un buon modo per muoversi mentre l’opinione dell’occidentale si potrebbe appiattire sull’informazione che Invisible Children di per sé può produrre”.

Marco Corazziari( 7 aprile 2012)