La Guida Rosa per la Prevenzione – Programma di screening dei tumori femminili, è rimasta rosa ma è diventata multilingue.
Una guida che informa su un servizio sanitario gratuito che tutte le donne italiane residenti nella regione Lazio, in teoria, usufruiscono dal 1997 – a quando risale la DGR 4236, Delibera della Giunta Regionale d’attuazione dello screening per i tumori della mammella e della cervice uterina – e che dall’estate 2012 viene trasmessa da LazioSanità non solo in italiano. Pensando probabilmente alle donne straniere… e residenti.
Ma quante donne straniere hanno la residenza?Nel Lazio, al 1° gennaio 2011 (fonte Istat), la proporzione della popolazione femminile straniera residente sul totale delle donne residenti era del 9,68%, mentre la quota di nuove straniere (e stranieri) registra un trend in continuo aumento – dal 7 del 2010 al 7,5%.
Una serie di contraddizioni sembrano colorare questa Guida tutta Rosa. Trasmettere un informazione in più lingue significa voler fare inclusione, ma non ci si ritrova alla fine a escludere chi magari parla italiano ma non ha residenza? I nostri dubbi sembrano confermati da quelli di un medico della sanità pubblica che preferisce rimanere anonimo: “La traduzione in lingue diverse sembra un po’ un provvedimento di facciata perché si presuppone che le donne siano residenti e le donne residenti devono avere il permesso di soggiorno e il permesso di soggiorno si dà dopo 5 anni di residenza… a parte la burocrazia italiana quasi kafkiana… è evidente che, dopo alcuni anni di vita in un paese, un minimo di italiano si conosca… e quello dell’opuscolo è elementare. Allora a che serve una guida multilingue se comunque i veri stranieri sono esclusi dal servizio?” Quest’ultima domanda sembra fare da specchio ai tipici paradossi italiani, quando si cerca di includere sottolineando le diversità. Ma c’è anche chi nonostante la lunga permanenza nel nostro paese non ha ancora una conoscenza piena delle lingua. “Sono da ventisei anni in Italia ma una guida in arabo sulla salute della donna la leggerei volentieri, ho problemi a comprendere il linguaggio medico” spiega Fatima Mohammed 47enne palestinese madre di cinque figli. “Sono seguita dal ginecologo della Asl e proprio un mese fa ho fatto l’ecografia al seno. Sono venuta appena sposata, senza conoscere nulla della lingua italiana ed è stato tutto molto difficile. Questa guida non l’ho mai vista, sarebbe forse un modo per saperne di più.”
Un’operatrice sociale in un centro di accoglienza per minori non accompagnati, che ha contatti quotidiani con le aziende sanitarie, sottolinea infatti che “sarebbe utile una guida per dare informazioni appena arrivati in Italia quando non si parla una parola di italiano e non si sa nulla di quello che si deve e si può fare. Per esempio, per i primi due anni non era facile per me capire, anche se il francese un po’ mi aiutava”. Lei si chiama Fatima, una trentunenne di origine tunisina in Italia da 14 anni. In quanto residente e appartenente alla fascia d’età di controllo (dai 25 ai 64 anni diritto al pap test gratuito e senza ricetta ogni 3 anni) ha ricevuto la lettera informativa a casa, ha usufruito del pap test gratuito e lo ritiene un ottimo servizio. “Molte delle donne straniere da noi contattate” spiega Roberto Boggi, responsabile del Programma di screening dell’asl Roma A, “non erano a conoscenza dei programmi di screening e non conoscevano neanche l’importanza di effettuare un pap test o una mammografia, per cui campagne informative anche in lingua e provenienti da più network non possono che migliorare la conoscenza e sensibilizzare la popolazione immigrata ad aderire a questi programmi di prevenzione”.
Per le donne di fede musulmana, come lo sono molte arabe, sarebbe utile un’attenzione verso l’assegnazione di ginecologi di sesso femminile: “in gravidanza mi è stato assegnato un medico uomo, ma avrei voluto avere la possibilità di scegliere. Quando l’ho chiesto non mi hanno detto di no, ma è stato un po’ complicato”. Fortunatamente da qualche mese la regione Lazio, con la collaborazione delle diverse comunità religiose, ha stampato e diffuso una guida per gli operatori sanitari dal titolo L’accoglienza delle differenze e specificità culturali e religiose nelle strutture sanitarie ospedaliere e territoriali. “Nel mese di maggio 2012 personale ASL specificatamente formato ha attivamente partecipato al progetto La salute è uguale per tutti organizzato presso il Mercato Esquilino dove, oltre alle informazioni sui programmi di screening, è stata offerta la possibilità di effettuare direttamente in loco il pap test e di prenotare la mammografia” racconta Roberto Boggi. “Sono state distribuite copie de La guida rosa per la prevenzione tradotta in diverse lingue e della Guida al servizio sanitario per il cittadino straniero, anch’essa tradotta in diverse lingue”.
L’invio alle donne di “una lettera dalla Asl di residenza” non è scontato: “non sapevo di questo servizio sanitario né di questa Guida Rosa in arabo, ora che lo so voglio usufruirne” dice Zahra Ayoubi, tunisina di 45 anni. Vive a Roma da 6 anni dove ha seguito un corso preparatorio e ora lavora come estetista in un centro. “Sono venuta in Italia per amore, ora sono fidanzata con un uomo italiano, con cui presto mi sposerò da musulmana praticante. Cerco di tornare a Tunisi appena il lavoro me lo permette”. Avrebbe dovuto ricevere le lettere a casa come Fatima, ma non è successo, così come ad altre donne.
La disomogeneità del servizio informativo a domicilio è confermata anche da semplici quesiti a donne, italiane e non, di nostra conoscenza. Molte non hanno ricevuto lettere a casa: una ragazza già da 5 anni nella fascia di controllo, l’ha ricevuta una volta sola e non allo scadere dei 24 anni, ma 3 anni dopo, ai 28. In ogni caso il servizio fu utile a scoprire una forma di Hpv che “non avrei sicuramente verificato senza il supporto della sanità pubblica, non avvertendo alcun sintomo”.
“L’Hpv o Papilloma virus”, sottolinea il medico, “è proprio il primo campanello d’allarme per eventuali insorgenze tumorali al collo dell’utero”: virus latente e ancora poco conosciuto colpisce addirittura l’80% delle donne (fonte ISS). Non comporta problemi nell’immediato ma è stato verificato che alcuni ceppi sono ad alto rischio, possono cioè essere causa di tumore all’utero: di facile trasmissione come l’Hiv, diagnosticarlo presto aumenta le possibilità di eliminarlo prima che in tarda età possa far insorgere complicazioni. Con la circolare 4220/08, inviata a tutti i distretti e ai responsabili degli screening oncologici delle ASL, l’Agenzia Sanitaria Pubblica – coordinatrice dei progetti di screening, compresa la Guida Rosa – ha raccomandato l’“attuazione di interventi specifici per favorire il coinvolgimento delle fasce deboli della popolazione ai Programmi di screening oncologici femminili.” Alessandra Barca, responsabile dei sistemi di screening, analizzando i dati del Lazio ha notato che le donne di origini non italiane presentano all’esame citologico, diagnostico per il cancro al collo dell’utero, maggiori lesioni rispetto alle italiane e che le lesioni trovate nelle donne straniere sono più a rischio di quelle rinvenute nelle italiane.
Un ultimo aspetto colpisce nella lettura della Guida Rosa, quando si precisa che “iniziare prima i controlli o intensificare il numero di esami non garantisce una migliore protezione”. Di fronte a una tale precisazione, così sicura, e a una serie di riscontri in interviste che hanno testimoniato tumori al seno precedenti ai 50 anni, il medico risponde che “non è così vero, purtroppo i tumori possono venire a qualsiasi età, ma la sanità pubblica ha bisogno di scrivere questo perché deve dimostrare che fa il meglio di ciò che può fare, dentro le statistiche”.
Il tumore alla mammella è il più frequente nel sesso femminile, e per tutte le fasce d’età. Lo confermano i dati Artum che nel biennio 2006-2007 registrano come lo sviluppo del carcinoma al seno abbia coinvolto il 41% delle donne dagli zero ai 49 anni colpite dal cancro, ciò vale anche per le donne dai 50 ai 69 anni con il 35% sul totale e per le donne al di sopra dei 70 anni con il 21%. La possibilità di una diagnosi di tumore alla mammella femminile è oggi per le donne di ogni età del 9%, un caso ogni 11 donne. “Conosco questo rischio” – spiega Naima 58enne marocchina – “ho fatto l’ultimo screening un anno fa.”
Interviene Sara, la figlia 24enne, che passeggia con lei per il mercato di piazza Alessandria. “Facciamo i controlli come le italiane. Andiamo nel consultorio a Montesacro dove abbiamo la residenza. Siamo in Italia da dodici anni, non possiamo rappresentare la realtà delle straniere, per noi non c’è differenza.”
M. Daniela Basile(28 agosto 2012)