Un Mediterraneo d’incontro

Venerdì 16 novembre dalle 9 alle 13 la Sala delle Colonne dell’Università LUISS a Roma ha ospitato l’ultima giornata della Settimana della lingua araba e della cultura egiziana in Italia, organizzata dall’Ufficio culturale dell’Ambasciata della Repubblica Araba d’Egitto. Il titolo della giornata era complesso “Il futuro socio-politico, culturale ed economico dell’Egitto dopo la rivoluzione del 25 gennaio 2011”, ragion per cui gli ospiti presenti spaziavano per competenze professionali, dall’ambito universitario ai registi multiculturali. L’auspicio di Abdelrazek Fawky Eid, direttore dell’Ufficio Culturale egiziano a Roma, è proprio quello di trovare sempre più occasioni per ricercare un punto d’incontro tra le nostre culture e i nostri popoli.

In occasione della giornata conclusiva della prima edizione di questa settimana della lingua araba, Melina Decaro, docente di diritto pubblico comparato presso la LUISS, ha riflettuto criticamente sostenendo che “la nostra cultura europea è stata arrogante e poco curiosa nei confronti della cultura che l’islam rappresenta” giudizio rafforzato da Ciro Sbailò, docente di diritto pubblico comparato presso l’Università Kore di Enna, secondo il quale “bisogna guardare e comprendere senza pregiudizi ciò che accade dall’altra parte del Mediterraneo, nella convinzione che l’Islam in quanto tale sia assolutamente nemico della cultura teocratica.”

L’Egitto è stato il protagonista della mattinata. In particolare si è ragionato circa la Costituzione che si sta redigendo attualmente, le cui ultime modifiche risalgono all’ottobre scorso ed evidenziano un punto particolarmente interessante ribadito la Decaro, “ad essere fonte ispiratrice della legislazione sono i principi della sharia e non la sharia stessa”. Aspetto rilevato anche da Mohamed Sadanii, pro rettore dell’Università Egiziana della Scienza e della tecnologia, il quale ha esordito sottolineando come “il mondo abbia una sola civiltà ma diverse fonti” che possono essere la ricchezza dei nostri popoli, alla ricerca dell’agognato punto d’incontro.

I fondamentalisti islamici vogliono controllare il moto del tempo e della storia e rifiutano un dialogo con le altre culture e popoli” prosegue Sadanii. La fase attuale, post primavera araba, è estremamente delicata, ed in paesi quali Egitto, Tunisia, Sira e Yemen si rischia di veder distrutto lo stato laico faticosamente creato, a causa dei fondamentalismi.

Questi oscurantisti, come li definisce Sadanii, “non sono riusciti a presentare un intellettuale di riferimento, al contrario hanno rovinato la coscienza della modernità sottolineata dal Corano stesso”. Inoltre, i temi che, a giudizio dei fondamentalisti, sono più impellenti da affrontare sono quelli concernenti la sessualità, tralasciando le discussioni relative alla Costituzione.

La situazione della stampa egiziana è grave. Hussein Mahmoud, docente e giornalista egiziano, rileva come, nei media, si distingua ancora tra seguace e non seguace di Allah, “nulla è cambiato rispetto a 20 anni fa. Ciò permette di collocare i religiosi in posti cruciali per l’informazione e strumentalizzare così gli analfabeti egiziani, la cui opinione è orientabile”. Come se vi fossero delle linee rosse assolutamente invalicabili, delle cose da non dire. D’altronde “i giornali nazionali esistenti in Egitto sono stati oggi ereditati dai Fratelli Musulmani e di fatto ripropongono vecchi modelli di potere.”

La lotta portata avanti in Egitto è per la ridefinizione di uno spazio pubblico” sostiene Simone Sibilio, docente di lingua e cultura araba. Infatti, se l’immagine simbolo della rivoluzione è stata quella di una piazza Tahir gremita, l’esigenza attuale è quella di delocalizzare la protesta occupando una molteplicità maggiore di spazi pubblici, per una diffusione capillare della lotta.

“L’utilizzo di diversi strumenti di comunicazione si colloca su una linea di continuità con gli ideali del movimento rivoluzionario”. Immagini, film, video-arte sono solo alcuni degli strumenti usati, anche perché “l’impegno diretto era finalizzato anche alla partecipazione ad una nuova vita civile” ribadisce Sibilio.

La presenza di due registi, Carolina Popolani, e Sherif  Fathy Salem, pone ulteriormente l’accento sulla questione media. “Prima della rivoluzione manifestare per una donna era considerato disdicevole. Dopo la rivoluzione qualcosa è cambiato”, sostiene la Popolani, regista di documentari come “Le sorelle di Zanyab” e “Cairo countdown”. In particolare, la presenza delle donne nelle piazze è stata determinante, soprattutto perché, essendo state parte attiva della rivoluzione, ora ne rivendicano i frutti, uno tra tutti, la partecipazione attiva alla vita sociale e politica egiziana. Salem racconta di come, per una serie di contingenze, si sia ritrovato a riprendere gli eventi rivoluzionari solo con il suo telefonino. E quale sorpresa quando, per le persone, persino quel misero supporto tecnico diventava una vera e propria telecamera professionale davanti la quale ingaggiare discussioni animate su quanto andava avvenendo minuto per minuto. Salem ha creato un’applicazione per cellulare Tahir Square Widget per diffondere in ogni modo quelle immagini, poiché “Il nostro lavoro è in strada, con la gente, non importa il mezzo bensì il messaggio”.

La critica nei confronti del giornalismo egiziano asservito al potere e non al popolo è forte “le notizie trasmesse spesso non hanno alcuna valenza ed interesse, sono piuttosto un pallido scoop che si sfrutta per distogliere l’attenzione da cose più importanti”. Tra i prossimi obiettivi di Salem vi è la creazione di una web tv mediterranea popolare, per mettere in relazione il nord e il sud del mediterraneo, con reali progetti di cooperazione. D’altronde “il più celebre architetto di moschee egiziane si chiamava Mario Rossi”.

Il ruolo degli intellettuali dovrebbe essere centrale e necessario per mantener deste le coscienze. Invece, proprio queste figure rischiano di venire meno dal momento che, sostiene Sadanii “La maggior parte degli intellettuali islamici è addomesticato. Il loro scopo fondamentale è salire sul treno che porta al palazzo del potere”, e non hanno la minima intenzione di scendere. Sadanii denuncia inoltre come la rivoluzione sia stata rubata dalle mani di chi l’ha realizzata, le elezioni sono discutibili, i suoi articoli sono stati censurati o non pubblicati. La sua esigenza è dunque chiara: dialogare con l’Occidente libero. Il gesto finale di Sadanii è liberatorio “alziamoci insieme tutti, un attimo, per ribadire, anche con il corpo, il nostro impegno comune per la libertà”, ed avviene esattamente così, l’applauso che ne segue è una buona premessa.

Piera Francesca Mastantuono

(20 novembre 2012)