Filtra una luce leggera dalle finestre dell’aula 6 della grande Moschea di Roma dove, dallo scorso autunno, si svolgono le lezioni di italiano per stranieri curate dal centro culturale islamico diretto dal dottor Redouane. Al centro della stanza, un gruppo di insegnanti sta organizzando il materiale e controllando le presenze. “L’appuntamento era per le 17, speriamo che arrivino il prima possibile così possiamo iniziare il test” dice Maria Pia Donat-Cattin, la coordinatrice del corso. Il viso è rilassato nonostante sappia che la simulazione di oggi è molto importante per i ragazzi, ride e scherza con tutti i presenti, in attesa dei “soliti ritardatari”. Per tutto l’anno ha seguito i progressi degli studenti che oggi si preparano per la prova finale: il test A2 che svolgeranno presso il CTP 3 e che permetterà loro di inserirsi nel mondo del lavoro ed integrarsi con la nostra società. Un percorso difficile per questi quattordici allievi che hanno avuto la costanza e la curiosità necessarie per affrontare ogni difficoltà. “Durante l’anno abbiamo contato oltre quaranta alunni – spiega Maria Pia – ma in molti hanno lasciato per motivi lavorativi o semplicemente perchè sono partiti verso un altro paese. D’altronde si sa che per alcuni l’Italia è solo una tappa di transito”.
Eppure non tutti hanno questo desiderio, ma anzi stanno provando ad ambientarsi nella nostra società, e lo hanno fatto partendo dalla lingua, vero e proprio ostacolo verso l’integrazione. Tra di loro ci sono sia richiedenti asilo che semplici migranti, come Sherif Hesham, un giovane egiziano di trent’anni che è venuto in Italia per specializzarsi in medicina. Il suo italiano è ottimo, considerato il tempo che ha avuto per studiare la nostra lingua, tanto che presto affronterà anche l’esame B1, ma ogni tanto si lascia andare all’inglese per rispondere alle domande: “Vivo a Roma da dieci mesi ormai. Il governo egiziano mi ha mandato qui per specializzarmi dopo che mi sono laureato al Cairo, e oggi lavoro al Gemelli. Questo corso è stato fondamentale per potermi esprimere nella vita di tutti i giorni: per confrontarmi con i colleghi come per fare la spesa o andare al bar. Per tutto insomma tranne che per studiare visto che i libri che leggo sono in inglese di solito. All’inizio avevo grande difficoltà, in particolare nelle conversazioni, ma con il tempo sento di essere migliorato. Mi è capitato anche di sognare in italiano!”. Al contrario di altri suoi compagni però Hesham non rimarrà in Italia: “Quando avrò finito qui voglio tornare nel mio paese per lavorare e per riabbracciare amici e parenti. Sono rimasto impressionato dalle strutture sanitarie qui in Italia, ma credo che, a livello di preparazione, i medici egiziani siano altrettanto bravi” E’ evidente come la situazione di Hesham sia molto diversa rispetto a quella di altri alunni del corso. La sua è stata una scelta dettata dalla voglia di arricchire il proprio bagaglio culturale e di migliorarsi nel lavoro, mentre altri sono qui perché non avevano altra scelta.
Ragazzi come Jonas, un richiedente asilo di 18 anni che proviene dall’Eritrea e che ha fatto passi da gigante da quando ha iniziato il corso:”La sua è una storia incredibile – spiega Maria Pia – perchè ha affrontato un viaggio molto simile a quello descritto da Andrea Segre nel documentario “Come un uomo sulla terra”. E’ la prova vivente che quello che si racconta degli interminabili viaggi di queste persone, è vero. Dalla prigionia libica allo sbarco a Lampedusa e successivamente a Siracusa, fino all’arrivo a Roma. Quello che mi ha stupito, è che non ha avuto problemi a parlarne con noi, mentre molti sono più riservati sull’argomento. Anche quando abbiamo fatto una lezione sui sentimenti è stato sincero e spensierato, ci ha detto “oggi sono felice!”. E’ incredibile come, nonostante tutto quello che abbia passato, si riesca a definire tale”. I problemi, per questi ragazzi, infatti, non si limitano alla lingua. Molti di loro vengono dal centro di Castel Nuovo di Porto, noto alla recente cronaca per dei disordini dovuti al fatto che e in queste ultime settimane non hanno neanche ricevuto la quota minima di 75 euro al mese che lo Stato dovrebbe offrirgli. Una situazione insostenibile che rende ancora più importante la presenza di corsi formativi come questo, che permette ad alcuni di loro di trovare lavoro o quanto meno di poterci provare.
Mentre gli ultimi ragazzi prendono posto, prima della simulazione del test, c’è tempo per i bilanci, che come ogni anno sono positivi: “Siamo molto soddisfatti per il risultato ottenuto da un punto di vista didattico. Purtroppo non siamo riusciti a creare una vera integrazione tra di loro. Solo in alcuni casi abbiamo organizzato dei lavori collettivi particolarmente divertenti, mentre nelle lezioni normali si creano spesso dei gruppetti legati alle etnie.” Dello stesso parere di Maria Pia è Alessandra, una giovane studentessa di lingue che ha seguito i ragazzi passo dopo passo insieme alle altre colleghe Claudia, Nicole, Flavia, Daniela e Iva:” I miglioramenti sono stati evidenti. La difficoltà maggiore all’inizio è stata riuscire a farsi capire, sopratutto con le persone che non parlano inglese. Per fortuna, sia io che altre mie colleghe parliamo arabo, e questo ha reso la mediazione molto più immediata”. I preparativi sono ultimati, e anche gli ultimi studenti hanno preso posto. Le insegnanti distribuiscono i compiti e sui volti degli alunni c’è la tensione di chi conosce l’importanza del momento. Il risultato del test domani potrebbe cambiare la vita di questi ragazzi. Incrociamo le dita.
Adriano Di Blasi
(28 maggio 2014)
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