“La Tunisia, culla della primavera araba, è a un punto di svolta”. Con queste parole, lunedì 20 ottobre, Samir Al Qayrouti, giornalista di FRANCE24, ha dato il via alla tavola rotonda sul futuro politico ed economico del paese, organizzata dall’Associazione della Stampa Europea per il mondo arabo. Dal 17 dicembre 2010, quando Mohamed Bouazizi si diede fuoco accendendo la miccia delle rivolte in tutto il Nord Africa, la Tunisia aspetta il vero cambiamento. Domenica 26 ottobre saranno eletti i 217 seggi dell’assemblea dei rappresentanti e a novembre ci saranno le elezioni presidenziali, due appuntamenti strategici per la svolta.
“Dal 2009 ho cominciato a sentire che qualcosa stava cambiando, che l’acqua stava arrivando alla gola. Percepivo che la gestione dell’intero paese fosse nelle mani di una mafia”, spiega Said Talbi, attivista e sindacalista . “Ma definisco la Tunisia come lo stato fortunato. Oggi abbiamo una costituzione, è un paese portatore di speranza, anche se è stato realizzato solo il 40 per cento del processo da compiere”.
“La situazione è ancora grave, la rivolta non è finita e non finisce con le elezioni”, interviene Alberto Negri, giornalista de Il sole24 ore. “Mentre le altre rivolte arabe hanno diviso le società in frammenti e hanno distrutto lo stato, la rivolta tunisina è stata popolare e diversa, è stata un’eccezione e per questa eccezione dobbiamo avere grande rispetto. L’Europa deve agire, spero che si svegli, anche se mi sembra di fare un appello a un ectoplasma”, aggiunge.
Domenica prossima la partita si giocherà principalmente tra Ennhada, il partito islamista, e il laico Nidaa Tounes. Tra i candidati di quest’ultimo anche Leila Hidri, che è d’accordo sulla necessità di un intervento dell’UE: “C’è il rischio di una nuova dittatura. È una situazione che va affrontata insieme, innanzitutto devono collaborare Italia e Tunisia, perché l’Italia è la porta dell’Europa. Il pericolo più grosso è che prendano il potere coloro che hanno collaborato con Ben Ali. Alcuni vecchi partiti stanno sfruttando la donna e la libertà femminile per avere dei consensi”.
L’appuntamento con le urne è un’occasione per tirare le somme, da adesso in poi comincerebbe la vera rivoluzione e chi prenderà in mano le redini del paese avrà un ruolo determinante. “Le forze riformiste hanno bisogno di un supporto europeo per trasformare la Tunisia in un modello. L’Europa deve dare supporto politico, sociale ed economico, prima che lo facciano altri. I rapporti non devono limitarsi alle questioni legate all’energia e alle migrazioni, bisogna lavorare insieme sullo sviluppo”, fa notare l’onorevole del Partito Democratico Khalid Chaouki.
“Oggi Russia, Cina, India, Iran, Brasile sono altri attori in gioco che potrebbero intervenire, di questo bisogna tenerne conto”, conferma l’esperto di strategia mondiale Fabrizio Luciolli. “Il 60 per cento della popolazione in Tunisia ha meno di 25 anni e il 60 per cento di questi vuole emigrare. È necessario intervenire per dare opportunità a questi ragazzi, creando collegamenti più semplici tra le sponde del Mediterraneo. Gli strumenti utilizzati fino ad ora, come Mare Nostrum, o ancor peggio Triton, sono da evitare. In un paese che ha buone prospettive come la Tunisia, c’è bisogno di una cooperazione internazionale più efficace e più mirata”.
“Per avere un aiuto importante anche dall’esterno si devono tenere insieme tutte le correnti e non si deve permettere al partito vincente di egemonizzare il paese”, conclude Alberto Negri. Il futuro della rivoluzione dei gelsomini dipende, in buona parte, dall’esito delle urne.
Rosy D’Elia
(22 ottobre 2014)
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