“Nel nostro paese, ogni volta che si parla di immigrazione gli argomenti usati sono due: quello secondo cui è in atto un’invasione che va fermata, e quello opposto, per cui dovremmo accogliere tutti e lasciarci andare a una bellissima festa dell’integrazione. Mancava il terzo punto di vista: quello reale, degli operatori del settore”.
Michele Brusini, seduto al tavolo dei relatori durante la presentazione di Uallai! al Palazzo dei Congressi dell’Eur, ha le idee piuttosto chiare. Le stesse di Sandro Lano, suo collega e autore dello strano libro scritto a quattro mani che si permette – sacrilegio! – di contravvenire alla sacra regola non scritta che ogni cittadino politically correct conosce e rispetta: “non si ride dei migranti”.
Eppure, per due operatori della Caritas di Udine che hanno partecipato all’Emergenza Nord Africa del 2011 – quando circa 28.000 profughi sbarcarono sulle coste di Lampedusa chiedendo alloggio, assistenza e in molti casi asilo – cambiare punto di vista sul politically correct è piuttosto semplice. Perché mentre il cittadino modello assiste contrito alla cronaca degli sbarchi riproposta dal tg, l’operatore rimanda la cena per spiegare al migrante cosa sia il CUP e come funzioni la relativa prenotazione telefonica, con tanto di impazienti signorine che urlano scortesi dall’altra parte della cornetta. Mentre l’italiano socialmente impegnato partecipa alle cene etnico-solidali di raccolta fondi per il terremoto di Haiti, l’operatore si sincera che l’ultima spiegazione sul corretto uso del bidet sia stata recepita senza conseguenze (troppo) disastrose.
Stiamo volutamente estremizzando, ma è proprio nella quotidianità che il cosiddetto processo di integrazione si realizza. Perché la realtà che Uallai! racconta è altro dall’immagine stereotipata e lacrimevole del migrante a cui siamo abituati. È una realtà fatta di scogli culturali e linguistici, di sotterfugi e fraintendimenti, a cui spesso operatori e strutture rispondono con preparazione e strumenti inadeguati. E proprio mentre nei tg i servizi di questi giorni raccontano di un business dell’accoglienza che ruota attorno a finanziamenti mal gestiti, in Uallai! gli Albergatori Solidali che mettono a disposizione le proprie strutture fatiscenti che altrimenti nella stagione estiva resterebbero desolatamente vuote, fanno apparire quei soldi persino mal giustificati. Intorno, ci sono le vite di quegli “ospiti temporanei” che in gran parte sono sbarcati nel nostro paese senza sapere dove fossero, o che – per citare il sottotitolo di un altro libro di Brusini – “cercavano l’America e non hanno trovato nemmeno l’Italia”. Un’Italia dell’accoglienza che ha sempre il suo punto Omega, il punto cioè in cui l’emergenza si dichiara conclusa e il progetto di accoglienza viene chiuso, e “andare avanti significherebbe una sovrasoluzione dei problemi che siamo chiamati a quasi-risolvere”.
Tra medici che trattano gli ipocondriaci a colpi di (inutili) prescrizioni, scaricando le responsabilità su chi a quelle ricette dovrà dare un seguito, poliziotti che sedano pestaggi a colpi di diffide, seguaci dello slow journalism a caccia di lacrimevoli testimonianze di guerra civile e docenti universitari in odor di promozione, che per un pugno di voti sono persino disposti a chiudere un occhio sul semianalfabetismo della nuova esotica matricola di Medicina, Uallai! smaschera vizi e virtù tanto degli ospiti che degli ospitanti. E lo fa con ironia. Perché, sostengono Lano e Brusini, in realtà dei migranti si può ridere eccome: “non sono ancora una specie protetta. Se lo fossero, il fatto di non poter ridere di loro significherebbe confinarli in un ghetto”.
Veronica Adriani
(10 dicembre 2014)
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