Forse domani: l’Italia tra soccorsi e accoglienza incerta

mare nostrum“Forse domani” è uguale ogni giorno la risposta che ricevono i migranti dei centri d’accoglienza quando provano ad avere informazioni sul loro status. Ma domani non arriva mai. E la speranza, giorno dopo giorno, si trasforma in disperazione. Mario Poeta e Stefano Liberti hanno condensato il racconto dell’operazione Mare Nostrum e della prima accoglienza nel breve documentario Maybe Tomorrow. Il prodotto dei due giornalisti si inserisce nel progetto Access to Protection del Consiglio Italiano dei Rifugiati che promuove il passaggio da una visione incentrata sulla sicurezza e sulle attività di contrasto all’immigrazione irregolare ad un approccio che non tralasci il rispetto dei diritti umani.

Nella prima parte del documentario Boshra, siriana, racconta il viaggio e i soccorsi italiani. Ha vent’anni e aspetta un bambino. Come lei, altre 300 persone hanno pagato mille dollari per partire dalla Libia durante la notte, dopo qualche ora si erano già persi e per due giorni le onde hanno deciso la rotta. Poi è intervenuta la Marina Militare italiana: “Mi sono sentita a casa”, sorride sollevata la ragazza ripresa nel video. Ogni viaggio ha un copione che si ripete, qualche volta cambia solo la fine.

Boshra è una dei 156.362 migranti soccorsi nell’ambito dell’operazione Mare Nostrum, sostituita a novembre da Triton, più contenuta e meno efficiente. Da novembre le nostre navi non avrebbero dovuto più spingersi verso le coste nordafricane per soccorrere i migranti e tutti i controlli sarebbero dovuti avvenire a terra, non più in mare. Proprio nelle ultime ore circola la notizia di un contrasto tra il Ministero dell’Interno e i vertici della Marina Militare che continua ad agire come se la vecchia operazione fosse ancora in vigore, dando più peso all’antica legge del mare che alle disposizioni di Frontex.

Il documentario racconta un’Italia agile nei soccorsi in mare, ma impacciata nell’accoglienza sulla terraferma. E la quiete, per chi arriva, può diventare peggio della tempesta. Protagonisti della seconda parte di Maybe Tomorrow sono due ragazzi africani, si alternano le loro sagome, non hanno nomi, né volti. Potrebbero averne tanti. Raccontano le loro giornate fiacche e sempre uguali, interminabili. Le immagini di sfondo mostrano due centri d’accoglienza siciliani: stanze fitte di brande, ragazzi che pregano o giocano a pallone.

Per legge la permanenza in queste strutture dovrebbe durare massimo 72 ore ma spesso si dilata fino ai 6 mesi. E le loro vite giovani restano in stand by. “Il cibo che sto mangiando non viene dal mio sudore, io non sto facendo niente: mangio e dormo solamente. Sono forte e in salute, perché non posso lavorare? Qui dentro mi danno da mangiare, mi accudiscono, fanno tutto per me. Ma non è giusto”, protesta un ragazzo.

L’Italia, che all’arrivo è porto sicuro, diventa un inganno. Incapace di mantenere le promesse, rimanda ogni giorno. E non si sa in quale domani verrà il tempo dei diritti, per chi non perde la speranza.

Rosy D’Elia

(29 dicembre 2014)

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