Continua il nostro viaggio all’interno della comunità ucraina di Roma. Nelle scorse settimane abbiamo raccolto testimonianze di cittadini favorevoli all’integrazione nell’Unione Europea. Ma non mancano voci di segno opposto, che rivelano la complessa situazione di un paese in cui si intrecciano interessi economici e geopolitici e differenze etniche e culturali.
“Ho 22 anni, studiavo e lavoravo come metalmeccanico. Anche se in tanti mi dicevano di lasciare il paese non volevo andar via, ma quando è arrivata la chiamata alle armi sono scappato”. Igor arriva dall’est Ucraina ed è in Italia da pochi giorni: “Come ortodosso osservante non posso essere d’accordo con il governo di Kiev che obbliga i militari a uccidere i propri connazionali. Tanti come me fuggono dalla guerra perché sanno che non c’è ritorno”.
Mentre gli scontri all’interno del paese mettono a rischio il cessate il fuoco concordato a Minsk e L’ONU parla di oltre 5 mila vittime e più di 13 mila feriti in dieci mesi di conflitto tra i cittadini dell’est Ucraina tanti continuano a invocare l’autonomia: “l’economia dell’Unione Europea dava già segni di cedimento prima della crisi ucraina, ora è al crollo, per questo non voglio che il mio paese entri in Europa”. Caterina vive in Italia da 14 anni e lavora come rappresentante sindacale: “Io non ho nulla di russo e non sono una fan di Putin. Ma sono nata nell’82 e ricordo che l’Unione Sovietica garantiva a tutti quello che era necessario per vivere”. Secondo lei le tv ucraine sono controllate dal governo e non mostrano la reale situazione del paese: “Ho contatti in Donetsk e Lugansk, in questi giorni mi hanno scritto che è stato annunciato il coprifuoco e che da un momento all’altro potrebbero interrompersi le comunicazioni. Altri mi dicono che dalla Polonia entrano armi chimiche dirette verso il Donbass, avviene tutto alla luce del sole ma nessuno ne parla”.
Secondo il censimento del 2001 i russi rappresentano il 17% della popolazione ucraina, ma la distribuzione varia notevolmente a seconda delle aree, facendo registrare percentuali tra il 38 e il 39% nelle zone di Donetsk e Lugansk e balzando al 58% in Crimea. In queste stesse aree metà dei cittadini di etnia ucraina utilizza il russo come lingua principale. “Noi non ci siamo mai considerati ucraini ma russi”. Lara viene dalla Crimea e vive in Italia da 16 anni: “Tra le prime leggi varate dal governo instauratosi dopo Maidan c’era il divieto di utilizzare la lingua russa nei luoghi pubblici. In quei giorni una mia amica mi raccontava che sull’autobus sembrava di essere a un funerale perché nessuno si azzardava ad aprire bocca”. Ceduta come dono simbolico da Nikita Krusciov all’Ucraina nel 1954 la Crimea è stata di nuovo annessa alla Russia dopo il referendum del marzo 2014, sebbene il trattato di adesione non sia stato ancora riconosciuto dalla comunità internazionale. “Le cose stanno già cambiando, mia madre ha avuto un aumento della pensione, gli amici di mio genero lo chiamano e gli dicono di tornare, che ora il lavoro c’è”. E tornerete? “Mio nipote è cresciuto qui e non vogliamo sradicarlo dagli amici. Frequenta sia la scuola italiana che quella russa, io penso che le nuove generazioni possano essere il ponte per avvicinare i nostri due paesi”.
“Per me è difficile schierarmi perché mi sento per metà russa e per metà ucraina. La mia famiglia comprende entrambe le nazionalità perché alla fine della seconda guerra mondiale in tanti si sono trasferiti dall’Unione Sovietica in Donbass per partecipare alla ricostruzione del paese”. Margareta è originaria della città di Kramatorsk, che si trova nell’area più a ovest del Donbass, sottratta la scorsa estate ai ribelli e tornata sotto il controllo governativo: “L’ex marito di mia figlia offriva supporto sanitario ai ribelli. È stato bendato e prelevato dai militari e per 24 ore non si è saputo nulla di lui. Quando l’hanno rilasciato aveva le costole fratturate e non aveva più i denti”. Quando è tornata in Ucraina nel mese di novembre i vetri della sua casa non esistevano più: “Tutti sono cambiati, aspettano qualcosa di brutto e hanno paura, nessuno parla. Ovunque ci sono appelli di genitori che cercano i figli dispersi e i morti finiscono nelle fosse comuni”. Margareta soffre per il suo paese e non spera più in niente: “I ribelli ora parlano di liberare il Donbass, ma poi non sappiamo che succederà. Al tempo stesso non capisco come si possa appoggiare un presidente che ha dato ordine di bombardare il suo popolo”.
Sandra Fratticci (18 febbraio 2014)
Leggi anche: