L’artista Antoni Abad: il sublime sta nelle comunità emarginate

L'artista Antoni Abad con la comunità dei lavoratori migranti in Costa Rica
L’artista Antoni Abad con la comunità dei lavoratori migranti in Costa Rica

Il sublime è il più alto grado dell’arte, dagli antichi greci ai contemporanei è l’ambizione di tutti gli artisti. Antoni Abad l’ha raggiunto ai margini di 13 città del mondo grazie al progetto Megafone.Net, che si è concluso lo scorso settembre, dopo dieci anni, con un’installazione interattiva al Museo d’arte contemporanea di Barcellona.

“Vengo dalla scultura e come artista il mio lavoro era cercare di realizzare il sublime. Questo progetto mi è costato tanta fatica, ma alla fine arriva un giorno in cui ti siedi ad un tavolo con 20 gitani e comincia tutta un’altra storia. Fai cose molto diverse dal solito, tutte totalmente lontane dalla conversazione globale sull’arte, uguale a Tokyo come a Madrid. E, come mi è sempre successo, diventi amico di persone che tutti i giorni vivono la strada con preoccupazioni reali, scherzi reali, pensieri reali. E in verità lo preferisco: è il sublime della realtà”, spiega l’artista, a Roma per la prima edizione del Media Art Festival organizzato dalla Fondazione Mondo Digitale.

Antoni Abad ha creato un’opera collettiva in cui si assume il punto di vista degli invisibili e le voci, solitamente inascoltate, finiscono nel megafono della rete. Nel 2004 ha deciso di passare dall’atelier alla strada per scoprire un’umanità poco conosciuta. Ha girato il mondo creando per ogni gruppo delle piccole redazioni e discutendo di temi sempre diversi: dai tassisti messicani ai gipsy spagnoli, dai migranti di New York ai rifugiati dell’Algeria Sahariana.

L’idea è nata vedendo che con un cellulare si potevano fare foto, video, file audio, ho pensato: se una comunità ha bisogno di esprimersi, può farlo in questo modo. Si trattava di fornire a tutti un canale per essere ascoltati. Tecnicamente poteva essere complicato, ma collegando il cellulare ad internet ho pensato che si potessero accorciare le distanze tra creazione del contenuto e pubblicazione. E anche eliminare i mediatori e filtri della società, del potere, dei mezzi. È quello che, poi, abbiamo visto tante volte, con la primavera araba, ad esempio”.

Quando il cellulare era ancora solo un telefono, Antoni Abad ha lanciato una sfida non da poco alle periferie del mondo.“Non hanno incontrato alcuna difficoltà. Quasi tutti utilizzavano già internet, forse non erano stati mai attori attivi, ma erano ragazzi giovani e non hanno avuto alcun problema a diventarlo e a cogliere il filo logico”. Più difficile, invece, è stato mettersi in contatto con i gruppi. L’impresa più ardua è stata coinvolgere le prostitute di Madrid, “solo entrando in contatto con un’associazione che lotta per i loro diritti ci sono riuscito. Ho spiegato che loro avrebbero fatto le foto e i video e così hanno accettato. Mi hanno detto che non ne possono più di giornalisti che le incontrano per raccontare soltanto la realtà più scabrosa”, spiega l’artista.

E il pericolo è proprio che si crei un circolo di silenzio e di mutismo che non giova a nessuno. “Il migliore antidoto è la possibilità che abbiamo di organizzare facilmente dei mezzi di comunicazione. Se la comunità ha un suo canale, anche i mezzi di comunicazione egemonici a un certo punto dovranno ascoltarlo”.

Con Megafone.Net Antoni Abad ha fotografato l’evoluzione della società nel suo rapporto con i mezzi di comunicazione, con la tecnologia e con l’arte partendo dagli ultimi. Il ritratto lascia intravedere uno spiraglio di luce: “Il paesaggio giornalistico è cambiato e avere un mezzo a disposizione apre tante possibilità, articola la curiosità e la voglia di mettere in comune le idee per cominciare a lottare”.

Rosy D’Elia

(4 marzo 2015)

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