Le pensioni dei migranti. A rischio per chi lascia l’Italia

Immigrati-nellagricolturaLuis ha lavorato 27 anni, 18 in Perù e gli altri 9 in Italia. Un giorno va allo sportello dell’Inps per chiedere la somma dei contributi versati in questi anni di lavoro migrante. Risultato? Migliaia e migliaia di euro. Luis sa però che se torna nella sua terra quei soldi non li rivedrà mai. E’ solo una delle tante storie raccontate in occasione della tavola rotonda “La pensione dei migranti e il diritto al ritorno” organizzata da Progetto Diritti onlus e Roma-Dakar, giovedì 25 Giugno nella sala della Piccola Protomoteca del Campidoglio. Una storia d’ingiustizia, di soldi versati al nostro “sistema Paese” e mai visti tornare, di spinte al lavoro nero “perché che senso ha versare, se tanto mai riavremo quei soldi?”.Per andare in pensione Luis, come i tanti lavoratori stranieri che contribuiscono alle entrate dell’Inps – deve lavorare in Italia 20 anni consecutivamente o raggiungere l’età pensionabile di 66 anni e tre mesi. È stato calcolato (nel recente studio della rete emn-italia dal titolo Immigrati e sicurezza sociale. Il caso italiano) che i lavoratori stranieri residenti in Italia pagano ogni anno 7 miliardi di contributi all’inps ma non ricevono quasi nulla in termini di pensione. Benché gli stranieri nel nostro paese rappresentino circa il 13% della forza lavoro, percepiscono solo lo 0,2% delle pensioni complessivamente pagate dall’inps. “Per essere un faro per l’Europa dobbiamo mettere al centro i diritti” dice il vice sindaco del Comune di Roma, Luigi Nieri, che ha aperto l’incontro.All’ingiustizia si somma ingiustizia. La questione del mancato accesso alla pensione è un fenomeno largamente conosciuto, prevedibile e previsto. Per porre riparo a tale inconveniente sin dai primi anni del novecento ci sono gli accordi bilaterali tra paesi di emigrazione e paesi di destinazione. Tali convenzioni,contengono solitamente clausole che consentono la portabilità all’estero delle prestazioni,la totalizzazione dei contributi (cioè la somma delle contribuzioni maturate in diversi paesi) e il godimento della pensione anche da parte del lavoratore straniero rimpatriato prima di aver raggiunto l’età pensionabile. Va tuttavia registrata una chiusura negli ultimi anni da parte dell’Italia alla stipula di ulteriori convenzioni bilaterali con i paesi da cui maggiormente provengono i lavoratori extracomunitari. L’ultima di tali convenzioni, stipulata con la Tunisia, risale al 1987. Non a caso le convenzioni stipulate, per larga parte, riflettono un’altra migrazione: quella degli italiani all’estero. Come si spiegano altrimenti gli accordi con Argentina, Brasile e altri Paesi in cui negli anni ’60, ’70 emigravamo? “Si ha il timore che queste convenzioni costino troppo al nostro Paese” afferma Antonio Ricci del centro studi e ricerche Idos, dopo aver presentato un quadro della situazione, attraverso i dati.

Le pensioni dei migranti - Campidoglio
Le pensioni dei migranti – Campidoglio
Una storia emblematica è quella della comunità senegalese. Storia di una migrazione circolare, dunque fortemente protesa al ritorno nel paese di origine “I senegalesi tendono meno degli altri a radicarsi” afferma Luca Santini, per Roma-Dakar “sono la diciottesima presenza in termini di numeri in Italia ma sesti per totale di rimesse inviate a casa”. Mario Angelelli per Progetto Diritti “Quei 7 miliardi servono per la solidità dei conti italiani.  Ma i migranti quei soldi non li hanno regalati ma sudati”. Claudio Piccini di Incacgl infatti ricorda che “i senegalesi come tutti gli altri fanno devi lavori molto usuranti”.L’incontro è stato l’occasione per lanciare la proposta dello “statuto del migrante di ritorno” vale a dire un pacchetto di misure quali: la stipula di convenzioni bilaterali tra l’Italia e i Paesi a più forte pressione migratoria, il rafforzamento dei programmi esistenti di rientro volontario, l’istituzione di regimi pensionistici flessibili per i lavoratori stranieri che manifestano il desiderio di rientrare anticipatamente nel contesto di origine, la sperimentazione della sospensione del permesso di soggiorno per un periodo di tre anni allo scopo di tentare il rientro produttivo del Paese di origine, con facoltà di riattivare il diritti di soggiorno in caso di ingresso in Italia entro l’arco di tempo descritto.Intanto Luis non può tornare a casa. Se lo fa, tutto il suo lavoro qui andrà perso. Sandra Bossio Risso, blogger del sito Peruanos en Italia riporta molti commenti dei suoi connazionali alla pagina facebook. Tanti, sconsolati, ripetono che non ha alcun senso versare i contributi se poi verranno persi “meglio lavorare in nero”. Triste considerazione di ciò che si direbbe un circolo vizioso, in cui i tanti Luis restano intrappolati.

Fabio Bellumore(02 luglio 2015)

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