I nuovi italiani che non hanno la cittadinanza

I ragazzi che sono cresciuti in Italia, di origine straniera ma più legati all’ Italia che al paese di origine, che hanno fatto un percorso di studi, volontariato, e si sono integrati perfettamente tanto da riconoscersi italiani, possono ancora considerarsi stranieri dalla legge?

Sono cresciuti in Italia, sono laureati, hanno fatto volontariato, parlano il dialetto, mangiano la pasta, tifano le squadre di calcio italiane, si battono contro la precarietà del lavoro: sono i nuovi italiani di origine straniera. Cosa hanno diverso dagli italiani di sangue? Non hanno la cittadinanza!

Molti sono gli stranieri, comunitari o non, che sono residenti da tanti anni in Italia e che vorrebbero acquisire la cittadinanza. Si tratta di un processo lungo e complicato dal punto di vista burocratico, sia per i documenti richiesti per la domanda, sia per i requisiti necessari per l’ammissione. Il primo requisito è il tempo di residenza che per i cittadini comunitari è pari ad un minimo di 4 anni, per gli stranieri extracomunitari è invece di 10 anni.

Un altro requisito importante è quello del reddito. Ai sensi dell’art 9 della legge 5 febbraio 1992 n.91 è necessario essere in possesso di un reddito personale o familiare negli ultimi tre anni pari a euro 8.263,31 per il solo richiedente, di euro 11.362,05 per il richiedente con coniuge ed euro 516,46 per ogni figlio a carico.

Specificare i propri mezzi di sussistenza è importante ma ci sono molti casi in cui tale requisito preclude la strada a molti “nuovi italiani” di avere la cittadinanza. Prendiamo il caso di Evelina, una ragazza bulgara, arrivata in Italia all’età di 12 anni. Ha fatto tutte le scuole in Italia e si è anche laureata in giurisprudenza, grazie ad una borsa di studio. “Sono arrivata in Italia seguendo mia madre che già viveva in Italia da 3 anni e faceva la badante. Le nostre condizioni economiche erano difficili ma presto mi sono ambientata nel nuovo paese. In Bulgaria ho vissuto con i nonni prima che la mamma trovasse una sistemazione adeguata e quando sono arrivata anche io ho capito quanti sacrifici facesse per mantenermi. Il suo sogno era farmi laureare perché aspirava a farmi avere una vita migliore della sua.” Il sogno della mamma di Evelina si è realizzato nonostante tante difficoltà, ora però si presentano altri problemi. “Appena laureata mi sono messa subito alla ricerca di un lavoro. Già durante gli studi avevo fatto qualche lavoretto per mantenermi come babysitter e cameriera nei fine settimana, ho fatto anche volontariato e il servizio civile. Il problema è che non posso partecipare ai concorsi pubblici perché uno dei requisiti è quello di avere la cittadinanza italiana“. Evelina e sua madre volevano fare la domanda già qualche anno fa, ma il reddito del nucleo famigliare non era sufficiente. “Purtroppo mia madre facendo un lavoro molto umile da sola non poteva arrivare ad un reddito di oltre 8 mila euro. Senza contare che spesso ha dovuto accettare lavori in nero e sottopagati pur di lavorare”.

Il caso di Evelina è rappresentativo di molti giovani di origine straniera, che pur essendo di fatto più legati all’Italia che al paese di origine, giuridicamente non vengono considerati italiani. “Non avrei mai pensato che la mancanza della cittadinanza mi potesse pregiudicare tanto. Non rinnego le mie origini, ma la mia vita appartiene all’Italia, perché qui sono cresciuta e qui vorrei rimanere: mi sento italiana a tutti gli effetti. Inserirsi nel mondo del lavoro in questi tempi precari è difficile per tutti, ma vorrei avere le stesse possibilità almeno per poter aspirare a un lavoro per cui ho studiato e che mi permettesse un giorno di poter richiedere la cittadinanza. Questo pezzo di carta per me è solo formale perché mi sento di appartenere all’identità italiana e nessuna legge può cambiarlo.” Evelina, che ha studiato legge vuole mettere in evidenza le lacune dell’attuale legislazione sull’acquisizione della cittadinanza. “Secondo me il requisito economico andrebbe contestualizzato e esaminato all’interno di casi specifici: nel caso di studenti, che non producono reddito ma che comunque partecipano attivamente nella vita del paese e al suo sviluppo, l’appartenenza e l’integrazione non può essere misurata con criteri economici”.

Poi c’è Iana, una ragazza moldava di 25 anni, laureata in turismo a Verona. Da 10 anni vive in Italia, a Brescia, con i genitori, ma senza cittadinanza. Per lei persiste un’altra complicazione: il rinnovo del permesso di soggiorno, perchè  la Moldavia non fa parte dell’Unione Europea. “Dopo la laurea, è stato difficile trovare un lavoro. Oltre alla frustrazione si aggiungeva la pressione del permesso di soggiorno che stava scadendo”. Alla fine è riuscita a farsi assumere all’Expo, ma il contratto è scaduto a settembre e la ricerca è ricominciata di nuovo. “Nel settore del turismo ci sono molte offerte di lavoro all’estero, ma se chiedi il rinnovo del permesso in Italia non puoi andare oltre i confini”. Iana parla con l’accento bresciano e se non fosse per il nome nessuno si accorgerebbe che ha origini straniere. “Avere la cittadinanza, mi renderebbe la vita più facile, ma è già difficile rinnovare il permesso. Fai la domanda di rinnovo per un anno e ti arriva praticamente quando sta per scadere. Finché studiavo ed ero a carico dei miei genitori era più facile ottenerlo. Ora, vengo considerata separatamente e sono sempre sotto pressione per trovare un lavoro. Se volessi richiedere la cittadinanza dovrei ricominciare la trafila dall’inizio: una vita trascorsa in Italia a vivere, studiare e lavorare non viene calcolata”.

L’attuale difficile situazione dell’occupazione in Italia non dovrebbe giustificare chi dice “gli stranieri in Italia sono troppi, già non c’è il lavoro per gli italiani” ma far riflettere sul sottile confine che c’è tra lo straniero  e un italiano senza cittadinanza, talmente sottile che molti di quelli ancora considerati stranieri dalla legge sono di fatto italiani nel cuore e nell’appartenenza.

20/01/2016

Ania Tarasiewicz

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