Storie di (non) cittadinanza: il racconto di Georgeva

“Se penso alla cittadinanza italiana per mio figlio? Non proprio. Sono molto tentata di tornare a casa,” così comincia il suo racconta Georgeva, una giovane donna di quasi 28 anni di origine bulgara. Arrivata in Italia a diciasette anni nel 2005 per raggiungere la sua famiglia e qui comincia una vita con tanti problemi. “Mamma è partita tramite un’agenzia inventata, da truffatori. Passa un periodo molto pesante, alla fine ottiene un lavoro fisso, ma viveva in un garage con altre donne”.

All’arrivo di Georgeva in Italia la famiglia abitava in una casa con altre 15 famiglie. “Qui in zona c’era un signore italiano che affittava ogni camera ad una famiglia diversa, non avevamo altra possibilità, perchè a quel tempo non potevamo prenderci un altro tipo di affitto,” ricorda Georgeva, era il periodo in cui la Bulgaria non faceva parte dell’Unione Europea. La madre riesce ad iscrivere la figlia a scuola, Georgeva comincia a frequentarla il giorno dopo il suo arrivo. “Ci è riuscita promettendo che mi avrebbe fatto fare il permesso di soggiorno, facendo vedere solo il suo, ma io in quel momento non avevo nessun documento” racconta Georgeva. L’entrata nella classe l’ha vissuta malissimo. “Non capivo niente, i compagni erano dispettosi. L’atletica che ho potutto fare a scuola mi ha salvato e mi ha aiutato a scaricare lo stress”.

Nel 2007, quando il suo paese d’origine è diventato uno dei membri comunitari, le cose sono cambiate, tutto è stato più semplice. “Mamma è riuscita a trovare una casa, e siamo stati molto tranquilli rispetto al periodo precedente, quando i miei genitori litigavano tantisismo,” ricorda Georgeva.

Oggi dopo quasi dieci anni, la vita senza dover rinnovare il permesso di soggiorno è ancora difficile e Georgeva combatte per vivere in Italia. “Anche se posso, non voglio prendere la cittadinanza,” spiega la donna che non si sente minimamente italiana. “Mia madre si è adattata molto più facilmente e l’anno scorso l’ha presa. Lei è qui da undici anni, lavora nell’ospedale di Tivoli e vuole continuare a stare in Italia.

cittadinanza
Georgeva insieme a sua madre, sorella e figlio.

Il figlio di Georgeva è nato in Italia e per lui la storia è diversa. “È nato qua, sta crescendo in questo paese, quando gli chiedi da dove viene, dice dall’Italia, non parla nemmeno bulgaro, o rumeno” racconta la donna il cui marito proviene dalla Romania. Il bimbo oggi frequenta la prima elementare, e insieme ad altri più di ottocento mila bambini di genitori stranieri nelle scuole italiane è fra coloro i quali oggi vengono chiamati nuovi italiani. “Il bambino nato e cresciuto qua dovrebbe avere il diritto alle stesse cose degli altri piccoli, per lui si possono aprire porte più larghe rispetto a quelle che abbiamo avuto noi,” pensa la donna.

Per quanto riguarda, però il proprio figlio, Georgeva per adesso non pensa di fargli prendere la cittadinanza italiana per un semplice motivo. “Dopo tutti questi anni che combattiamo in Italia siamo molto tentati di tornare in Romania, dove ci sono più possibilità di trovare un lavoro,” confessa la donna che fa l’odontotecnico ma non in regola e senza i contributi.

Prendere una decisione per il futuro per lei non è facile, anche perchè non è certa di sapere dove suo figlio starebbe meglio. “Quando siamo andati in Romania, il bambino non conoscendo la lingua si trovava in grossa difficoltà a giocare con gli altri,” racconta la donna che sa cosa voglia dire doversi adattare in un paese straniero. E la Romania per suo figlio lo sarebbe. Il pensiero di trasferirsi, per Georgeva, ritorna ed è molto forte.

Petra Barteková(13 gennaio 2016)

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