La Siria di Khaled, che scrive dei “nuovi pellerossa della Terra”

Khaled Kalifa
Khaled Kalifa
“Ho più speranza quando sono in Siria che quando sono fuori”. Potente e originale lo scrittore siriano Khaled Khalifa, a Roma per l’incontro a La Sapienza, organizzato in collaborazione con Un Ponte per…Basta solo ricordare la trama del suo ultimo libro ancora non tradotto in Italia, dal titolo “La morte è un duro lavoro” per catturare la cifra di quest’uomo.  La storia di madre e figli che vogliono portare da Damasco ad Aleppo la salma del loro marito e padre, morto in prigione perseguitato dal regime. Ad ogni posto di blocco sulla strada verso casa, una volta controllato il nome, le autorità oppongono resistenza per non farlo passare. Da qui il titolo. Ma il suo intervento – a un incontro al quale hanno preso parte tantissimi studenti, in cui ha portato un saluto il magnifico rettore, segno di quanto la Siria sia un “tema caldo” – scardina pregiudizi, entra nella politica e getta ponti. Come? Attraverso il suo lavoro: una letteratura “che non può ignorare il sangue dei siriani e mettersi a scrivere di laghetti”. Khaled è uno degli autori siriani e arabi più rappresentativi e importanti della narrativa araba contemporanea. Nel 2008 è stato finalista al Premio internazionale per la letteratura araba con il suo romanzo “Elogio dell’odio”, tradotto in 8 lingue e pubblicato anche in italiano da Bompiani nel 2011.Onore agli scrittori come Khalifa che continuano a lottare per i diritti per far capire che la lotta siriana è una lotta “per la libertà e contro la dittatura”, perché “oggi noi siriani siamo i pellerossa del mondo. Nessuno si rende conto della magnitudo di quanto è accaduto”. Dal 2011 è scoppiata una rivoluzione, sulla scia delle primavere arabe, in cui si è intrufolato Isis nel 2013 e che  ha fatto oggi oltre 250mila morti, migliaia di sfollati, macerie e affogati in mare. “Per questo – dice Khalifa – se ne scriverà per 1000 anni e per questo dico ai miei amici scrittori che devono scrivere al meglio, in modo eccellente, per arrivare lontano” .Khalifa fa luce, sgombra il campo da equivoci e getta ponti tra mondo arabo e mondo cosiddetto occidentale . “Negli ultimi anni abbiamo scoperto che non ci conoscevamo. Gli arabi per gli europei erano solo popoli fuori dal tempo e dalla storia e che li sarebbero rimasti. Persone governante da pazzi. Allo stesso tempo nella testa degli arabi l’immagine degli europei era molto migliore di quella che hanno ora: popoli che avevano lottato per la libertà, la democrazia”. Poi è arrivato il terremoto delle primavere arabe che ha comunicato a tutti “un segno di identità e che abbiamo cose da dire al mondo”. Per Khalifa si devono analizzare queste dinamiche, queste “idee di..” per non “ricadere in vecchie illusioni”.Si scalda quando dal pubblico, da un uditore arabo, arriva una riflessione che cita questi numeri “il 93% dei siriani sono sunniti, il 3% alawiti, eppure questi ultimi governano”. A scaldare Khalifa è il concetto di unità “quelle che lei ha citato sono percentuali sbagliate ma non mi interessa correggerle. Il problema che hanno i siriani non è che gli Assad siano alawiti, ma che hanno saccheggiato la Siria. Una Siria che  aveva aspirazioni per il mondo”. Continua lo scrittore “i siriani non credono ancora al fatto di esser stati lasciati così tanto soli dal mondo. Sanno che devono proseguire da soli. Gli arabi vinceranno, arriveranno alla democrazia con o senza europei, perché sono ad un vicolo cieco: non possono fare altro. Sono pronti a pagare il prezzo di questa libertà”.Quando gli chiedono il perché viva ancora a Damasco Khalifa risponde “voglio rimanere a casa mia. Non voglio una patria alternativa. Quando sono in giro per il mondo perdo la speranza, mentre quando sono in Siria la riacquisto”. E ancora “Voglio stare con le mie persone. Molti miei amici hanno lasciato il Paese per Parigi, per gli Usa. Io no”. Ci tiene a dire che la sua non è una“azione eroica“. Poi ride, ride anche il traduttore e i tanti arabi in sala, quando rimarca altri motivi che lo spingono a restare “in Siria si mangia bene e le donne sono bellissime”. Conclude con la stoccata finale, come può fare solo colui che sa scrivere ogni finale, fosse anche un semplice convegno, come quello tenutosi martedì 4 aprile al Rettorato del La Sapienza, “una volta finito il regime i mie concittadini, amici, torneranno e io sarò ad attenderli”. Che questa storia non tardi a venire non solo per i siriani ma per il mondo intero.

Fabio Bellumore(06 aprile 2016)

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