Il poeta inglese John Keats scrisse che nessun uomo è invulnerabile: tutti condividiamo la debolezza, solo che spesso non sappiamo né come né quando si manifesterà. Alcuni cercano di rimuoverla, nella speranza illusoria di diventare forti; altri volgono lo sguardo altrove per cancellarla dal tempo e dallo spazio.
Esiste però un luogo dove la vulnerabilità non solo è reale, ma può essere vista, toccata e soprattutto trasformata in salvezza: questo luogo prende il nome di corridoio umanitario, uno spazio geografico nel quale la realtà viene sospesa e i confini, come deboli tracce, vengono spazzati via, in nome della vulnerabilità. Il progetto dei corridoi umanitari, promosso dalla Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia (FCEI) , dalla Comunità di Sant’Egidio e Tavola Valdese, in accordo con il Ministero degli Esteri e il Ministero degli Interni, ha permesso il 29 febbraio scorso di far arrivare a Roma 24 famiglie siriane per un totale di 93 persone. Verso la seconda metà di aprile ne arriveranno altre: “saranno circa 150 persone, inclusi tanti bimbi, provenienti in larga parte dalla Siria e rifugiate, da diverso tempo, in Libano.” Racconta Gaëlle Courtens, della Federazione della Chiese Evangeliche in Italia. “Come prevede il progetto, che permette un “passaggio sicuro” grazie solo all’ottenimento di visti umanitari verso l’Italia, i beneficiari devono avere il requisito della vulnerabilità. Quindi: vittime di persecuzioni, torture e violenze; minori non accompagnati; famiglie con bambini; donne sole; anziani; malati; persone con disabilità. Attualmente vivono in condizioni a dir poco disumane, molti riportano traumi psicologici.”
“Indipendentemente dall’appartenenza religiosa o etnica”, è la vulnerabilità ad essere l’elemento fondamentale, umano e politico. Per molti che vengono selezionati, tantissimi non possono farne parte. Un’ingiustizia inevitabile, una scelta dolorosa. Contro i confini sempre meno porosi dell’Europa, il recupero di quella che la filosofa francese Corine Pelluchon ha definito “etica della vulnerabilità”, ossia il dovere morale e giuridico nei confronti della debolezza, sembra essere l’unica soluzione plausibile. Insieme alla speranza: la speranza di creare un modello alternativo alle stragi in mare e alla chiusura mentale e fisica di Paesi e persone Quella stessa speranza evocata dal nome del progetto, “Mediterranean hope” , che costantemente si occupa delle migrazioni, sotto vari punti di vista; “il progetto è suddiviso in 4 parti, di cui solo una è riferita ai “corridoi umanitari”, quella cioè in co-partenariato con Sant’Egidio. Le altre tre sono gestite da noi, e riguardano:
A LAMPEDUSA: L’Osservatorio sulle migrazioni. Oltre che produrre informazioni e analisi sulle migrazioni mediterranee, è impegnato nell’accoglienza dei migranti che sbarcano sull’isola.
A SCICLI (RG): La “Casa delle Culture”. Sorge a pochi chilometri dal porto di Pozzallo, altro importante scalo dei migranti. La “Casa” è un luogo di accoglienza per i migranti minori non accompagnati, per donne sole o persone particolarmente vulnerabili ma al tempo stesso anche un luogo di integrazione e dialogo interculturale.
IN EUROPA: Il Relocation Desk, con sede a Roma. E’ un servizio finalizzato ad accompagnare nel loro percorso i migranti che transitano dalla Casa delle culture o da altri centri di accoglienza collegati con Mediterranean Hope.
Un progetto non solo di sostenibilità etica e politica, ma anche economica: i costi sono infatti tutti a carico delle organizzazioni che supportano le iniziative e dei privati cittadini. Si aiuta come si può: attraverso la donazione dell’8 per mille alla chiesa Valdese, attraverso una donazione spontanea o semplicemente, per chi abita a Lampedusa attraverso un aiuto concreto e pratico.
Le storie di chi è giunto qui grazie a un corridoio umanitario sono storie segnate dalla vulnerabilità. Almeno fino all’arrivo in Italia: da qui in avanti sarà un’altra storia, forse piena di quella speranza tanto amata da Keats. Sicuramente un’altra storia da raccontare.
Elisa Carrara
(06 aprile 2016)
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