#Leparolevalgono: ma proprio per tutti?

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Le parole valgono. La Treccani lo dice con lo spot che vede l’attrice Angela Curri, senza parole al di fuori di carino, alle prese con tutte le possibili sfumature aggettivali della lingua italiana.

Quando Croce Rossa subentra nella campagna, carino scompare, e si aggiungono umanità, dialogo, asilo, accoglienza e migrazione, e all’hashtag #leparolevalgono si affianca #protecthumanity.

Il risultato è una campagna virale che si basa su un semplice assunto: dietro i numeri, ci sono dei volti. E dietro le parole che scorrono ogni giorno fra i titoli dei giornali, tante storie diverse. Per comprendere quelle storie, a volte, basta riflettere con più attenzione sul significato delle parole. Questo, in estrema sintesi, lo scopo della campagna: generare consapevolezza attorno a dei termini troppo spesso abusati, e soprattutto quasi sempre compresi solo parzialmente.

La campagna vista da noi

Ma siamo sicuri che le cinque parole scelte siano effettivamente condivise da chi la migrazione l’ha vissuta sulla propria pelle? I ragazzi del Laboratorio Infomigranti, arrivati (o nati) in Italia in tempi e modi diversi, hanno provato a rispondere.

“Sono d’accordo con le parole scelte, e contenta che non ci sia tolleranza, che secondo me non ha una connotazione positiva” spiega Nadia, moldava. La cinese Naiqian – Alice, per i suoi colleghi italiani – aggiungerebbe invece comprensione e conoscenza, che implicano uno sforzo reciproco di integrazione: “una volta conosciute la loro cultura e le loro abitudini, integrarsi è più semplice”, spiega. Le fa eco Amarilda, albanese, che come Naiqian aggiungerebbe un’ulteriore parola all’elenco: uguaglianza. ” Asilo, Accoglienza e Migrazione…mi danno il senso di qualcosa che va a pesare nei confronti di qualcun altro. La parola uguaglianza mi piace perché mette tutti allo stesso piano e apre possibilità ad altre parole”.

Un occhio al passato lo getta invece Sara, eritrea, con la parola memoria: “Anche gli italiani sono stati immigrati oltre che colonizzatori. Penso sia importante avere come punto di riferimento la storia per capire il presente”. Comprensione è invece richiesta a gran voce da due poli opposti: la Russia di Valerya e il Bangladesh di Nibir: “contiene sia la tolleranza in modo positivo e consapevole, sia il concetto di umanità“, spiega Valerya.

Solo con la comprensione si possono risolvere gran parte dei nostri problemi, sia della migrazione che della vita in generale” argomenta Nibir, che aggiunge altre parole alla lista. “La comprensione è il primo passo verso la risoluzione. La sensibilità invece si può sviluppare solo se si scaccia l’ignoranza attraverso la conoscenza“. E continua: “per finire scelgo contatto, quello umano, che con la nuova tecnologia stiamo perdendo: tutto sembra un videogame, dove vince chi ha più like. Ma è la parola umanità  quella che racchiude un po’ tutto”.

Ania, polacca, che il laboratorio Infomigranti l’ha frequentato un anno fa, non ha dubbi sulle parole da scegliere: “Insieme, perché per costruire qualcosa bisogna farlo insieme agli altri e con gli altri. Gli uomini hanno bisogno dell’altro anche se nello stesso tempo lo temono. Poi confine, reale e simbolico che sia, può rappresentare distinzione, ma anche un muro se ci si chiude al confronto. La terza parola è meta, perché dietro un progetto migratorio c’è sempre un traguardo, un’aspirazione, un viaggio che porta ad un incontro“.

Due voci fuori dal coro sono invece quella di Marianna, ucraina, e dell’angolana Josefa: “Coraggio, sfida, solidarietà, integrazione, multietnicità, futuro” per la prima, “capacità, coraggio, solitudine, determinazione, realizzazione” per la seconda. E l’accoglienza? L’asilo? Scompaiono, per chi ha vissuto il trasferimento in Italia come un percorso fatto di difficoltà e successi, ostacoli e realizzazione personale. Ovvero, per la percentuale maggiore di migranti che si trasferisce ogni anno nel nostro paese, fra ricongiungimenti familiari, motivi di studio, ricerca di un impiego.

La spagnola Cristina, trasferita a Roma per amore, ex Infomigranti e ora parte della redazione di Piuculture, riassume così le “sue” cinque parole: “Quelle parole non le sento mie, forse solo migrazione. La mia è una storia della Comunità Europea, e oltre alla lunga burocrazia italiana o ai disagi della città, non ho avuto altri tipi di problemi: né di accoglienza, né di dialogo, né di asilo. Per me possono essere più importanti parole come lavoro, amicizia, famiglia“. Fuori da ogni stereotipo, appunto.

Veronica Adriani

(26 maggio 2016)

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