Fotografie di Giuseppe Marsoner“Il grande è colui che riesce a creare qualcosa dal nulla”, cita un vecchio proverbio siriano. Parole con le quali Mahmud, giovane siriano di 32 anni nato nella città di Homs, si identifica molto. “Ho un sentimento dentro di me che non riesco a descrivere e che solo le persone che hanno vissuto la guerra e poi la pace possono capire. I bombardamenti mi hanno fatto perdere tutto: il lavoro, la mia casa, la mia macchina e tutti i miei guadagni. Adesso voglio soltanto pensare al futuro e alla felicità della mia famiglia,“ racconta Mahmud con gli occhi bagnati mentre fa disegni su un foglio di carta.Mahmud, è atterrato lo scorso 29 febbraio all’aeroporto di Fiumicino grazie al progetto dei Corridoi Umanitarirealizzati in accordo con il governo italiano e la Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle Chiese Evangeliche italiane, FCEI, e la Tavola Valdese. Un canale sicuro, legale e umano destinato a persone vulnerabili che senza aiuto probabilmente non sarebbero riusciti a lasciare le zone di guerra e i campi profughi in Libano.Da quel giorno l’agriturismo Casal Damiano, nella campagna di Campo Leone vicino ad Aprilia, è diventato per lui, per la sua famiglia e per altre 19 persone la loro nuova casa. “Qui mi trovo bene, la vita è tranquilla e i miei figli vanno a scuola.” Durante questi mesi ad Aprilia, Mahmud però non ha perso tempo; tutte le mattine frequenta un corso di italiano, ha seguito un percorso di avviamento al lavoro e fra pochi giorni inizierà a lavorare in un azienda come operaio. “In tutto questo periodo sento di aver costruito le basi per il mio futuro e per quello della mia famiglia. Il mio sogno era arrivare in Italia. Adesso è diventato realtà e vorrei soltanto avere una vita tranquilla, lavorare e trovare degli amici,” racconta con lo sguardo perso nella felicità del futuro.Fotografie di Marcello ValeriQuando parla del suo paese gli si illumina il viso e con un sorriso inizia a descrivere la Siria. “E’ un paradiso che purtroppo conoscono soltanto i siriani. Un popolo umile che non conosceva la fame e dove spero possa tornare presto la sicurezza.”Parole che condivide anche Talal, pasticcere siriano arrivato in Italia insieme alla moglie e a tre dei suoi 7 figli. “Il viaggio in aereo verso l’Italia è stato l’esperienza più bella della mia vita. Anche per me un sogno diventato realtà. Sono scappato dalla Siria insieme alla mia famiglia appena sono iniziati i bombardamenti durante i quali mio figlio, Diya di 11 anni, rimase gravemente ferito e perse una gamba”.La guerra non ha spento però il sorriso contagioso e lo sguardo vivissimo di Diya. Colpisce e incoraggia allo stesso tempo guardarlo salire in bicicletta e rincorrere il pallone con le sue stampelle lungo il prato che circonda Casal Damiano.“Appena arrivati siamo stati portati in ospedale. Mio figlio Diya aveva bisogno di una protesi al posto della gamba. Lì siamo rimasti 13 giorni e non ci siamo mai sentiti stranieri. I dottori si sono comportati benissimo con noi e ho conosciuto tante brave persone. Adesso qui stiamo molto bene e i miei figli piccoli hanno ripreso la scuola e quello più grande, Hamza di 27 anni, oltre a studiare l’italiano sta seguendo un percorso formativo che gli permetterà in futuro di lavorare in un forno come pasticcere, lo stesso lavoro che svolgeva in Siria.” L’unico problema che la famiglia ha riscontrato in questi mesi è il fatto di essere lontani da tutto, “ci manca conoscere nuove persone per poter integrarci di più.” Talal rimane senza parole per un po’, riprende di nuovo fiato e pensando alla sua nuova vita e al futuro augura con tutte le sue forze che la pace torni in Siria e che il popolo siriano possa tornare a convivere come una volta.Fotografie di Marcello ValeriIl sole tramonta a Casal Damiano, è l’ora di mangiare e Sonia, proprietaria dell’agriturismo, li avverte che la cena è pronta. “Da 7 mesi sento che ho tanti figli. La struttura è piccola e quindi ci sentiamo in famiglia. E’ una esperienza bellissima”, spiega soddisfatta.Finisce così un’altra giornata per queste famiglie siriane che spinte dal desiderio di costruirsi una vita migliore di quella che hanno lasciato alle spalle portano avanti il sogno di lavorare e vivere in Europa. Una nuova vita che, almeno per loro, non ha significato dover attraversare l’inferno delle acque del Mediterraneo.
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