Secondo le stime dell’Osservatorio Romano sulle Migrazioni, al 31.12.2014 nel Comune di Roma vivevano 101.400 musulmani, pari a poco meno del 20% della popolazione straniera presente nel territorio. Il numero delle presenze dei musulmani a Roma aumenta con regolarità. Provengono prevalentemente dall’Africa, il 70,9%, e dall’Asia, il31,8%. I luoghi di culto per i musulmani, erano 22 nel 2013, negli ultimi anni sono nate altre moschee nei quartieri periferici che hanno facilitato la possibilità di praticare la religione per molti fedeli.
“Da quando hanno aperto la moschea nella mia zona, un anno fa a Torre Maura, la preghiera del venerdì la faccio lì. Prima frequentavo la moschea a Torpignattara, ma era un po’ lontano per poter andare ogni venerdì”, spiega Alam, commerciante di 52 anni. “È vero che ce n’è una anche a Torrenova, ma preferivo quella più lontana perché il sermone lì viene spiegato in bengalese”, racconta.
In realtà a Roma c’è un solo luogo di culto riconosciuto, ed è la Grande Moschea nel Quartiere Parioli. Tutte le altre “moschee” non sono altro che delle associazioni culturali. Una scorciatoia burocratica, perché aprire una “moschea” è molto più difficile che aprire un’associazione.
“In questi giorni purtroppo ne stanno chiudendo diverse. A Centocelle ne hanno chiuse due, e in una di queste sono anche stato una volta, ma non capisco perché le autorità stiano facendo così. Forse per paura di tutto quello che sta succedendo nel mondo? Il terrorismo? Spero che non chiuda anche quella della mia zona”, conclude preoccupato Alam.
Anche Maksud e Abdul si sono ritrovati senza la loro “moschea” in zona Prati Fiscali chiusa ormai da un anno. Nonostante la vicinanza con la Grande Moschea, per la festa della chiusura del Ramadan, sono andati a pregare all’interno del Parco delle Valli in Zona Conca d’Oro. “Preferiamo ascoltare la preghiera in bengalese” raccontano.
Nella maggior parte dei casi queste moschee/associazioni non rispettano le norme di sicurezza. Durante la preghiera del venerdì o nelle grandi festività, si rischia di superare i limiti di capienza delle persone. Molte volte le associazioni svolgono anche lavori interni senza avere dalle autorità i permessi necessari. Di fronte a diversi controlli però, ora tutte queste associazioni rischiano di chiudere. In seguito alle recenti chiusure ci sono state diverse manifestazioni, l’ultima il 7 ottobre, venerdì, a Piazza Vittorio.
Ihab, un ragazzo egiziano che vive a Roma da diversi anni racconta la sua esperienza: “Appena arrivato in Italia mi sono ritrovato un venerdì a pregare in un’associazione vicino alla Stazione Termini dove la preghiera veniva fatta in bengalese. Dopo la preghiera sono scappato e non sono più tornato, perché non ho capito nulla di quello che si diceva. La preghiera è un momento importante per me, per cui ascoltarla in una lingua diversa dalla mia non mi ha fatto sentire a mio agio. Da quel giorno sono sempre andato alla Grande Moschea, dove la preghiera si tiene in arabo”. Nonostante le difficoltà di raggiungere la Grande Moschea con i mezzi pubblici, Ihab ha deciso di recarsi lì ogni venerdì e ad ogni festa importante.
La preghiera è un momento importante per i musulmani, ed è importante avere un luogo dove andare a pregare. Ma questo non basta: serve un luogo dove sentirsi a casa, dove si parla la propria lingua, un luogo vicino a dove si abita da poter raggiungere facilmente il venerdì dopo il lavoro.
La chiusura delle moschee nate sotto forma di associazioni culturali crea perplessità tra i fedeli che si ritrovano privati di un luogo caro, nonostante la chiusura tuteli la loro incolumità in caso di carenze nella sicurezza delle strutture. La soluzione è dialogare con i fedeli per capire le loro necessità. Luoghi sicuri, insomma, sia per i fedeli ma anche per chi guarda alla religione islamica come a una minaccia.
Nibir M. RahmanAmarilda Dhrami(12 ottobre 2016)
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