Parlano italiano perfettamente, hanno vissuto la maggior parte della loro vita nelle città della penisola, tifano per la nazionale e amano la cucina nostrana. Gli italiani senza cittadinanza sono circa un milione. Stranieri solo per la legge. “Non riesco ad ottenere la cittadinanza dello stato dove ho sempre vissuto, dove mi sono formato e dove contribuisco alla crescita della mia comunità a causa di una legge anacronistica, molto burocratica e rigida. Nel mio caso l’iter viene bloccato a causa di un certificato penale che dovrei presentare per testimoniare di non aver avuto problemi penali prima di venire in Italia. Ma all’età di 3 anni che reati potrei aver commesso?”. Mohamed Rmaily ha 26 anni e studia giurisprudenza, in Marocco ha vissuto per tre anni e quando va all’estero per tutti è “Mohamed l’italiano”.
Un milione di cittadini aspetta di essere riconosciuto. I ragazzi del gruppo #Italianisenzacittadinanza sono giovani e impazienti, stanchi di aspettare i tempi della politica, inconciliabili con i tempi della vita quotidiana. Spesso fatta di impedimenti.
Le rinunce. Non avere la cittadinanza significa non avere i diritti, piccoli ma fondamentali di fare delle scelte utili alla crescita professionale, di concorrere, di viaggiare. Questo è il primo tra i diritti negati per Fioralba Duma, 26 anni, arrivata a Mentana, in provincia di Roma, nel 2001 da Shkoder, Albania. L’Italia è un punto di arrivo, da cui non ci si sposta. Chouaib Bel Mouden, marocchino, ha 23 anni ed è in Italia da 22, racconta che a scuola tutti i suoi compagni di classe sono andati in gita scolastica. Ma lui no, Londra non è area Schengen. E continua: “Lavoravo a Dubai, mi sono dovuto licenziare per tornare in Italia perché se avessi passato più di un anno al di fuori dell’UE mi avrebbero respinto alla frontiera, come se non avessi mai vissuto qui”. E per un’occasione persa, ce n’è un’altra da non perdere. “Una ragazza mi ha proposto di lavorare con lei a New York, si è detta disposta ad aspettare il conferimento della cittadinanza. Spero che si diano una mossa, la riforma è ad un passo dall’approvazione”.
Una legge attesissima anche per le opportunità lavorative o per coltivare un passione: “Non ho potuto essere selezionato per le nazionali giovanili di rugby e spesso devo rinunciare a partecipare a concorsi pubblici”, dice Moahmed Rmaily.
Non essere cittadino italiano vuol dire fare delle rinunce, anche per Xavier Palma, studente di mediazione interculturale originario del Salvador. Rinunce grandi come l’Erasmus in Svezia o piccole come la visita all’ambasciata italiana a Pechino. Ma comunque incomprensibili. “Ho vinto una borsa Erasmus ma chiedendo un permesso di soggiorno svedese avrei potuto danneggiare la mia residenza continuativa in Italia, requisito fondamentale per accedere alla cittadinanza con la legge attuale. A Pechino invece avrei voluto vedere l’ambasciata italiana, la mia amica sarebbe entrata liberamente, mentre io no. Non capisco come una persona come me, che sono cresciuto in Italia, che ne condivido i valori e la cultura, che ho un’educazione medio-alta tutta italiana, non possa accedere a un edificio così importante per la nostra nazione”.
La riforma della cittadinanza. Dopo anni di dibattiti e battaglie, il 13 ottobre 2015 la camera dei deputati ha approvato il testo che dovrebbe riformare la legge 91 del 1992. Si introdurrebbe la possibilità di ottenere la cittadinanza:
- per nascita, nel caso in cui uno dei due genitori abbia il permesso di soggiorno a tempo indeterminato (ius soli temperato)
- al termine di un percorso scolastico (ius culturae).
Ma dopo 15 mesi la riforma è ancora in discussione al senato: gli emendamenti sono più di settemila e l’ultimo intervento sul disegno di legge risale allo scorso agosto.
Ma essere senza cittadinanza non toglie il diritto di essere italiani. “Non ci sono contesti particolari in cui mi sento italiano, è come chiedermi perché o in quali situazioni mi sento me stesso. Sono due cose inseparabili”, dice Xavier. Lo stesso vale per Chouaib, Mohamed, Fioralba che ha studiato in un liceo classico e sente sua la storia dell’Italia fin dalle origini: “Uno degli esempi più belli di politica migratoria e di cittadinanza ci viene dall’antichità, ma sempre dalla penisola italica, l’impero romano: far sentire partecipi di un destino comune tutti i popoli attraverso l’accoglienza, l’integrazione e la cittadinanza per merito valorizzando le culture di provenienza”.
Rosy D’Elia
(11 gennaio 2017)
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