“In una fase storica complessa come questa, che vede giungere imponenti flussi di migranti che fuggono da guerre, carestie e da ogni tipo di violenza, siamo orgogliosi dei risultati di questo progetto che vede l’Italia capofila in un percorso di prima accoglienza attento ai bisogni di salute e che finalmente delinea corretti approcci clinici e protocolli operativi condivisi”. Con queste parole, il Direttore Generale dell’’INMP, Istituto nazionale salute, migrazioni e povertà, Concetta Mirisola, ha aperto lo scorso 14 marzo il convegno di presentazione dei risultati del progetto europeo CARE, Common Approach for REfugees and other migrant’s healt, avviato nel 2016, non solo in Italia, ma anche in Croazia, Grecia, Malta e Slovenia.Servizi sanitari appropriati all’interno dei centri per migranti e rifugiati, controllo del rischio di diffusione di patologie infettive nelle prime fasi di accoglienza del migrante e una migliore presa in carico della loro salute, in particolare dei gruppi più vulnerabili, come minori, donne in gravidanza e anziani, sono solo alcune delle iniziative del progetto CARE finanziato dall’Unione Europea.Durante il suo primo anno di vita, CARE, non ha riscontrato, come spiega il Dr. Gianfranco Costanzo, coordinatore del progetto, particolari criticità di esecuzione. “L’oggetto dell’iniziativa è quello di sviluppare metodologie innovative e strumenti personalizzati da impiegare all’interno degli Hotspot italiani e greci. Quindi, le cosiddette criticità sono dovute all’introduzione di procedure e protocolli clinici e organizzativi così come di strumenti informatici all’interno di luoghi che non li utilizzavano prima e che hanno dovuto adattarsi al fine di permetterne il pieno uso. Questo elemento ha attivato un ripensamento delle organizzazioni destinatarie dell’azione migliorandone il funzionamento, ripensando in modo virtuoso alcuni automatismi non sempre corretti. A livello della popolazione generale, così come dei professionisti di salute, il progetto ha previsto un approccio informativo e, talvolta, formativo. Inoltre, sono stati prodotti materiali informativi per gli stessi richiedenti protezione internazionale. Sarebbe interessante verificarne l’efficacia a distanza di tempo ma per questo vi è bisogno di una nuova azione di monitoraggio affidata al partenariato di CARE dalla Commissione europea”, spiega Costanzo.Un progetto che ha permesso di visitare, in un anno, più di undicimila persone negli hotspot di Lampedusa e Trapani-Milo e altri undicimila negli hotspot di Leros e Kos in Grecia e si è interessato dei minori non accompagnati inserendo nelle équipe la figura del pediatra e dello psicologo dell’età evolutiva e applicando, per la prima volta, un protocollo che ha consentito di valutare l’età, non sempre chiara.”Nei centri in cui CARE veniva attuato, il lavoro dei professionisti sanitari, talvolta arduo per tempi e modalità, ha, di contro, rilevato un alleggerimento dei carichi, quantomeno della responsabilità delle scelte diagnostiche e cliniche del medico dell’ente gestore, il quale ha potuto contare sulla competenza dei team multidisciplinari specialistici presenti negli Hotspot di progetto rispetto ai suoi colleghi che operano in hotspot in cui CARE non è condotto. Infatti, la presenza stabile dei medici specialisti ha fornito al medico dell’ente gestore una serenità d’azione maggiore nella gestione della salute di migliaia di migranti che necessitano di scelte sanitarie rapide e soprattutto appropriate”, spiega Costanzo.Ma i migranti, portano malattie infettive? dobbiamo avere paura di contagio se viaggiamo sui mezzi pubblici insieme a loro? Proprio per sfatare questi tipi di pregiudizi e diffondere messaggi veri riguardanti la loro salute, il progetto ha distribuito in tutta Italia materiali informativi con l’obiettivo di innalzare la consapevolezza e la conoscenza dei cittadini.Ma non solo, grazie al progetto CARE, sono state consegnate anche le prime 342 schede sanitarie elettroniche portatili che contengono tutti i dati di salute dei migranti e le indicazioni delle cure ricevute sin dall’arrivo nel continente europeo.La formazione specifica del personale sanitario sulla multiculturalità e la sperimentazione di una piattaforma per la sorveglianza sindromica sono anche altri dei risultati raggiunti dal progetto. “E’ un esempio di umanità ma anche di buona salute, sapendo investire nel nostro futuro, e credo sarà un ottimo esempio per molti altri Paesi”, ha dichiarato il ministro della Salute Beatrice Lorenzin in un video proiettato durante il convegno.Un impegno, insomma, a tutto campo che come spiega Mirisola “necessita di attività di networking e di relazioni istituzionali internazionali mirate anche alla valutazione delle politiche, perché solo attraverso la conoscenza di quello che funziona e la gestione matura e lungimirante dei fenomeni migratori contemporanei si possono abbattere tutti quei muri, geografici e culturali, che alimentano pregiudizi e irrazionali paure. È la Storia che ce lo impone”.
Cristina Diaz22/03/2017
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