Domenica 23 aprile le tute grigie del Michigan University Football Team si distinguono, sempre più numerose nel viale della Galleria Borghese, tra la folla di turisti e famiglie in bicicletta. La squadra di football college è una delle più titolate e ha scelto Roma per una settimana di formazione e allenamento. La prima tappa del tour è Villa Borghese: 150 tra giocatori e staff aspettano migranti e rifugiati del JNCR Refugee Center e di altre associazioni romane per trascorrere una domenica insieme.Lo staff ha voluto fortemente che il viaggio cominciasse con un’esperienza di questo tipo: “Sarà bello vederli interagire. Questi incontri sono importantissimi per evitare la paura, e per riconoscere dignità e rispetto. Sappiamo che in Italia i migranti sono accettati, ma non veramente integrati, un problema comune in tutto il mondo”.”Non mi sembra siano tantissimi i migranti qui a Roma”, dice Kevin Lempa, senior defensive analyst. “Non so bene quale sia la situazione, ma le migrazioni fanno parte anche della vostra storia. Tantissimi italiani sono venuti negli Stati Uniti negli anni ’50“, sottolinea. Il prato nel frattempo si riempie di coperte e di “M” blu, lo stemma del Michigan University Football Team, tutto è pronto per cominciare la giornata. La fisarmonica degli artisti di strada fa da sottofondo e l’accoglienza è calorosissima : ci sono cestini per il pic-nic, gadget, capellini, zaini e maglie per tutti. “Thank you!”, ripetono i ragazzi mentre scattano fotografie con i giocatori. Qualcuno si lascia andare subito alle presentazioni e ai racconti. Sono abituati a farsi capire in una lingua che non è quella madre, e l’inglese, anche se non perfetto, unisce i due gruppi.Mujtaba ha 36 anni e viene dall’Afghanistan, sta per raggiungere i parenti in Olanda: “Roma mi piace, ma non c’è lavoro”. Reza, 38 anni, precisa: “Quando c’è il lavoro, la fatica è troppa e il guadagno è poco. Ho guadagnato anche solo 20 o 25 euro per 12 ore. Sono partito dall’Iran perché nel mio paese non c’è libertà: vuoi indossare un orecchino, dei pantaloncini corti, o portare i capelli lunghi? Non puoi!”. Sono racconti di viaggi complicati, battaglie per i documenti, futuro incerto quello che i migranti offrono ai giocatori. Nonostante ciò, subito si crea un’atmosfera positiva.Dopo il pranzo cominciano gli allenamenti: il giocatore Wilton Spight ha creato un semicerchio. La squadra improvvisata non rappresenta uno stato americano, ma la mappa dei paesi da cui si parte: Costa D’Avorio, Afghanistan, Iran, Senegal. Si passano la palla tra un tiro fortunato e qualche mossa goffa. Fuori dal cerchio Moahmed e Adam, due giocatori ventenni della squadra Liberi Nantes, oppongono qualche resistenza prima di tradire il calcio per il football. Ban lavora nello staff del Michigan University Football Team ed è un loro coetaneo, gli chiede informazioni sul paese d’origine, la Costa d’Avorio, sul processo che l’ha portato all’Indipendenza. Insieme parlano di storia, poi anche loro si lasciano andare a qualche tiro.
Il pomeriggio si conclude con la visita alla Galleria Borghese. L’espressione di stupore alla vista dei mosaici antichi, delle sculture del Bernini e dei quadri di Caravaggio è la stessa per tutti i visitatori, senza alcuna differenza di culture. “Oggi siamo stati proprio bene. Al centro di accoglienza i giorni non passano mai, ti annoi”, conclude Mohamed.
A Villa Borghese è una domenica di primavera come tante, per Mohamed e gli altri una giornata come ce ne vorrebbero tante.
Rosy D’Elia
(26 Aprile 2017)
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