Michael: lavorare come ambulante non è una scelta

Foto di Giuseppe Marsoner - ambulante
Foto di Giuseppe Marsoner

Esistono dei veri e propri mercati e sono gestiti da italiani. Mi svegliavo alle 6 per andare a comprare la merce,  poi lavoravo fino alle 14, almeno, e alle 19.00 riattaccavo. Camminavo per tutta la città, non ho mai scelto un posto fisso per vendere, ho sempre preferito girare”. Micheal riassume così una giornata tipo da lavoratore ambulante. Ha 44 anni e viene da Meckhe, un villaggio senegalese famoso per la produzione di scarpe. Non c’era pioggia, vento, sole a fermarlo. Ogni mattina, borsone in spalla ed energia nelle gambe, consumava le strade della città.

“Può succedere che un giorno incassi una bella somma e altre volte non porti a casa nulla, anche per tre o quattro giorni di seguito. Io compravo roba buona, dovevo pagare subito e su un capo guadagnavo 2 o 3 euro, al massimo 5”. È un lavoro che non ha luoghi, non ha soste e non ha certezze. “Quando arrivi fai quello che fanno i tuoi amici”.

Michael è in Italia dal 2000 e finché non ha ottenuto i documenti ha venduto, ogni volta in un posto diverso, borse Gucci, scarpe Prada, cappellini Louis Vouitton, rigorosamente contraffatti. “Come avrei dovuto guadagnarmi da vivere? Il lavoro nero è l’unico che potessi fare. Mi vergognavo a chiedere l’elemosina”. Ma la vergogna l’ha provata lo stesso: tutte le volte che lo hanno fermato per un controllo, dei documenti e della merce. “Ti sequestrano tutto e torni a casa a mani vuote”.

“Il lavoro è il grande problema per chi arriva in Italia, le persone pensano che i senegalesi in Italia non vogliono lavorare, invece è il motivo che ci porta qui”. È come un circolo vizioso, a sentir parlare Michael. “Avevo tanti amici che volevano offrirmi un’opportunità ma senza documenti non potevo essere assunto regolarmente“.

“Tramite un amico ho fatto un periodo di prova in un’azienda che produce scarpe, mi hanno detto: ‘Sei bravo! Torna quando potremo farti un contratto in regola’. Ho ottenuto il permesso di soggiorno grazie alla sanatoria del 2012“, la sua è stata una delle 129.814 richieste di regolarizzazione.

“Avere un’occupazione regolare mi ha cambiato la vita, me l’ha resa più tranquilla. Puoi organizzarti la giornata, dopo il lavoro torni a casa e puoi riposarti, avere tempo per te”.

Ma basta poco per tornare al punto di partenza: “l’azienda è entrata in crisi e io ho ricominciato a vendere per strada, giravo portando con me sempre le copie del CV. Dopo poco tempo ho trovato lavoro in un’azienda agricola, ora impacchetto le insalate, fino a qualche mese fa lavoravo nei campi, è dura ma sempre meglio che fare l’ambulante”.

Da 5 mesi grazie al ricongiungimento in Italia c’è anche sua moglie: “Segue un corso di Italiano, il prossimo obiettivo è il lavoro anche per lei, per i figli dobbiamo ancora aspettare”. Il futuro immediato è tutto in costruzione per Michael, quello a lungo termine è chiaro:”Voglio tornare in Senegal, mi manca la mia terra, la vita è brutta quando sei lontano. Se hai un lavoro che ti permette di guadagnare abbastanza, è meglio che non parti“.

Rosy D’Elia
17 maggio 2017

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