“Siamo abituati sin da piccoli a praticare il Ramadan, non è un peso particolare”, sostiene Aruna, senegalese di 52 anni, in Italia dal 2002, che a piazzale Flaminio è venditore ambulante di accessori per il cellulare, da caricabatterie a mascherine, forze dell’ordine permettendo. Anche il fatto che quest’anno il mese del digiuno capiti in piena estate non sembra fargli differenza, del resto viene dall’Africa, “anche lì c’è molto sole”, ironizza.
La giornata tipo Anche quando lavora Aruna non può rinunciare ai momenti fondamentali della giornata di un buon musulmano e con dei cartoni usati a mo’ di tappeto, intorno alle 18, recita una delle cinque preghiere in compagnia di altri due connazionali. La successiva sarà alle 21, giusto prima dell’iftar, che celebra con il resto della comunità sempre in zona Flaminio. Ma senza fare particolarmente tardi, “verso mezzanotte andiamo a casa, anche perché il giorno dopo dobbiamo tornare qui, verso mezzogiorno”. Aruna sembra uno dei pochi a reggere i ritmi normali nel periodo del Ramadan, nonostante non tocchi nulla dalle 4 di mattina. In giro si vedono diverse facce stravolte e in molti sono costretti a sedersi sul marciapiede per recuperare qualche energia.
Finita l’orazione, Aruna tira fuori il tasbeeh – conosciuto anche come tespih, misbaha, sebha e subha – una sorta di rosario legato alla tradizione spirituale del dhikr, il ricordo incessante di Dio, il cui nome viene ripetuto 34 volte, una per ogni grano di cui è composto, per dimenticare tutto il resto. Ne esiste anche una versione a 100 grani, ciascuno per gli altrettanti nomi della divinità, il cui mistero viene meditato nel recitarli. La sua postazione di preghiera viene a quel punto presa da I., bengalese ventiduenne che lavora in una delle bancarelle. In Italia dal 2008, ricorda di aver festeggiato per la prima volta il Ramadan quando aveva appena sette anni, benché per i minori non sia obbligatorio, confermando quanto detto da Aruna, che alla fine l’abitudine all’astinenza permette di superare ogni fatica. I. quando può si reca alla Grande Moschea, dove di sicuro andrà per l’Eid ul-Fitr, la chiusura del mese lunare. Altrimenti rimane nei paraggi di Flaminio, con altri connazionali, per l’iftar.
Quando è impossibile digiunare. K. è marocchino ma lavora al Turkish kebab. Conta di tornare in patria per celebrare la fine del Ramadan, mentre è a Roma si “accontenta” della Grande Moschea. “È un momento di festa per migliaia di persone, trovi tutte le comunità riunite, ma non è come stare in Marocco”. I suoi compiti sono all’esterno dell’esercizio, ma per chi deve rimanere all’interno la situazione cambia. “Loro possono mangiare qualcosa e bere acqua”, confida K., “con il forno acceso è impossibile resistere tutta la giornata. Non è legato al fatto che servono cibo, quello non sarebbe un problema”. Difatti sono le stesse cariche religiose islamiche a consentire esenzioni per lavori pesanti o in condizioni di alta temperatura e con forte umidità.
Redazione Gabriele SantoroInterviste Piera Mastantuono e Gabriele Santoro(20 agosto 2012)